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Il regista Giovanni Anfuso: Orfano di Mondo, Pirata e Signore, Eterno Amante dell’Amore

Nato a Catania nel segno zodiacale della vergine Giovanni Anfuso già coinvolto da adolescente nel suo teatro locale, il Teatro Stabile, scopre la sua futura vocazione come regista di teatro e opera. Dopo la formazione presso l’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, ha iniziato il suo apprendistato come assistente di alcuni dei più grandi registi italiani – Giorgio Strehler, Lamberto Puggelli, Glauco Mauri. Negli anni successivi ha messo in scena opere teatrali che sono state eseguite in Francia, Belgio, Germania, Argentina e Uruguay. È stato il Direttore Artistico del Teatro Antico di Segesta. Ha diretto diverse opere liriche per l’Ente Lirico di Abruzzo, per il Teatro Bellini di Catania. È stato il Direttore Artistico del Teatro Stabile di Catania. Il suo curriculum è lungo e complesso. Lo abbiamo intervistato per raccontare le ultime opere messe in scena alle Gole dell’Alcantara: l’Inferno di Dante, già al secondo anno di repliche, e la novità dell’Odissea di Omero. Attualmente è alle prese con la regia del Pirata di Vincenzo Bellini al Teatro Massimo di Catania. L’opera debutterà il 23 settembre.

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Chi è Giovanni Anfuso? Un folle innamorato del teatro e anche molto fortunato visto che è il mio lavoro. Mi piace la “gioia ansiosa” degli spettacoli “veri”, perché ho voglia di farli bene e ad ogni occasione ricomincio come se fosse la prima volta. Per ogni nuovo lavoro hai bisogno di dimostrare prima agli altri che a te stesso, che ci sei, che lo sai fare, che lo sai fare bene, che non hai perso la lucidità, che hai la capacità di guidare un gruppo. Per guidare un gruppo le componenti da considerare sono complesse e infinite: magari fossero solo quelle artistiche sarebbe troppo bello e troppo facile! In assoluto la cosa più preziosa è lo scambio di “energia”. Quando le energie dei componenti dello spettacolo cozzano e tu arrivi a dire “lo fai così perché lo dico io” è il fallimento del mio lavoro. Quando ogni elemento del gruppo “sposa le tue motivazioni” che diventano sue, allora sì che mi sento ritemprato.

Si può fare l’attore e il regista contemporaneamente?  Credo che il regista abbia bisogno di un testo scritto da un altro e dei corpi di altri: è l’unione di questi due fatti che permette al “regista” di raccontare sé stesso. Come aiuto regista avevo il problema della mia parzialità, perché essendo io stesso ingranaggio dello spettacolo, mi concedevo e mi autorizzavo delle cose che ad altri non avrei mai concesso e autorizzato. Ecco perché risulta importante essere aiutato da un occhio esterno.

Ti è mai capitato di scegliere gli stessi attori? Hai delle attrici o attori feticci? Non ho questa prerogativa, ma capisco la scelta dei colleghi, non la condivido, ma la capisco. Ad un certo punto della propria carriera c’è l’esigenza e il bisogno di parlare ed essere capiti e questo lo ottieni quando hai fatto un percorso insieme. La storia dei grandi ensemble italiani nasce da gruppi italiani: La Compagnia dei giovani con Giorgio De Lullo, il Piccolo Teatro di Milano con Strehler, lo Stabile di Genova, nati attorno a degli intramontabili geni teatrali. È chiaro che ci sono stati degli innesti che vivificano il gruppo, capisco che i colleghi hanno bisogno del gruppo per essere capiti… io invece per mia natura sono un “essere infedele”, tranne che nella mia vita privata, sono “infedele” in tutto. Sento forte il bisogno di nutrirmi di “sangue diverso”, come un vampiro culturale.

Giovanni Anfuso è un poliamoroso? Nella mia idea di teatro non c’è il gruppo chiuso, perché a volte si ha la paura di morire per autocombustione e l’eccessiva autoreferenzialità del gruppo. Quindi riformulando la domanda, si possono vivere rapporti di poliamore con tutti i collaboratori che incontri, con un inizio e una fine intensi. Gli spettatori “veri” che ti vengono a vedere lo capiscono, gli arriva, se il rapporto per quel tempo e in quel luogo è uno “scambio amoroso autentico”. Si sentiranno rimescolati nella loro essenza. A questo serviva il teatro greco: alla catarsi, all’elaborazione di dubbi, incertezze, sui sentimenti tramite le emozioni scatenate da quello che si andava a vedere.

I tuoi lavori principali? Il lavoro più bello è il prossimo! Primo perché sono un insoddisfatto cronico: ancora oggi non riesco a guardare l’Odissea, che tanto successo ha avuto sia di critica che di pubblico, che lo rimetterei in prova ora che l’abbiamo finito, come dice mia moglie: “per fortuna non hai il porto d’armi” sennò avrei fatto una strage. Non sono legato a nessuno e a tutti i miei lavori, in fondo poi è la stessa cosa. Penso sempre alla “verginità” del nuovo lavoro, ai sapienti “preliminari” e alla messa in scena. Penso spesso come un aspirante amante, quello che posso fare per raggiungere il climax del piacere per me, i miei collaboratori e il pubblico per avere un “orgasmo collettivo”, inteso come scambio energetico, dietro le quinte, sul palcoscenico, in platea e nei palchi.

Parliamo del prossimo spettacolo: Il pirata di Vincenzo Bellini previsto il 23 settembre al Teatro Massimo Bellini di Catania. Dubbi, perplessità, difficoltà, com’è l’opera di Vincenzo Bellini?

È la mia “prima volta”, con Bellini. Ho fatto Donizetti, Puccini, Mascagni,Verdi. Poi mi hanno chiesto: “abbiamo bisogno di un amico: ti va di fare il Pirata”?  E io ho pensato: “E ccu u sapi fari”? Bellini è un tranello costante! Quando scrive insieme a Felice Romani, Bellini travolge ogni tempo e spazio nella trasformazione dei sentimenti. Bellini è il musicista dei sentimenti assoluti dell’Eros e della Tanatos; non c’è spazio per tutte le sfumature emozionali: si passa dall’amore alla morte, dalla gioia alla tristezza, dallo strazio alla vita, in due note. Bellini è assoluto!  Con Lui, si corre il rischio della retorica sentimentale: soprattutto, dopo 200 anni. Il Pirata è un’opera tecnicamente chiusa: è strutturata con duetti e terzetti di cori così incatenati, che un povero regista, difficilmente riesce a dare dinamismo all’opera, per ovvi motivi, per esempio tra un “aria” e l’altra, perché non c’è “respiro”. E poi perché il cantante deve guardare in faccia il direttore, e non il regista e dove in realtà, per la costruzione dell’Opera, dovrebbe guardare ambedue: sia per seguire le note prosaiche/poetiche e sia per seguire le note liriche/musicali. La sfida è stata lavorare con un direttore che guarda lontano, lo spagnolo Michele Ortega, con cui ci siamo ritrovati con “il cuore oltre il confine”: saremo capaci di andarlo a raccogliere? Lo scopriremo la sera del debutto.

foto di Tommaso Lepera

Qual è la funzione del regista teatrale nelle opere liriche?   Ho assistito a tante opere nella mia vita: l’orecchio si abitua, lo capisci, come a fai a fare il regista se stai chiuso a casa? Io vado a teatro per vedere quello che sanno fare meglio di me e non per criticare, sennò mi verrebbe la gastrite, semmai per imparare… si impara rubando. Poi penso che bella idea che ha avuto, mi incuriosisce, il lavoro che fanno gli altri. Non sono mai andato via prima della fine dello spettacolo: magari il collega ha un colpo di genio, giustifica quello che per te era una bruttura. Devo dargli una chance perché io l’ho chiesta e non mi è stata data.

In che senso non ti è stata data una chance? Le difficoltà che ho subito, i calci, le sgomitate, le pugnalate, più che altro mi piace provare agli altri quanto si può resistere… fare teatro è un lavoro pesantissimo. Non si dorme, non si mangia, non si tengono relazioni, durante il lavoro con me, devi diventare Orfano di Mondo. Diceva un grandissimo maestro: “Ama il teatro e non te stesso sul palcoscenico e il teatro amerà te”. Non sei tu che scegli il teatro; è il teatro che sceglie te e quando ti prende non ti da spazio per altro, è geloso, possessivo…

E quindi il teatro che cos’è per te? Non è certamente la rappresentazione di un testo. È un rito collettivo, una religione laica è come distinguere tra quelli che fanno sesso e quelli che fanno l’amore. Bisognerebbe fare come gli Emirati Arabi che esportano la nostra lirica nei loro teatri…noi che siamo la cultura perché non investiamo in cultura? Se io riesco a sensibilizzare gli uomini con la cultura, non butteranno la carta per terra, chi piange con Romeo e Giulietta e chi si emoziona davanti a Monet, a chi viene un brivido con Beethoven, non scrive sui muri. Ha un costo la cultura: certo soldi non te ne metti in tasca ma formi un popolo che è una ricchezza infinita.

 

E volevamo finire dedicando al nostro regista la canzone di Iglesias: Sono un pirata sono un signore. “A volte sono un bastardo e a volte un buono, a volte non so neppure come io sono. Mi piace qualunque cosa che è proibita, ma vivo di cose semplici, vivo la vita. Io donne ne ho avute tante che mi han capito e altre che in mala fede mi han ferito. Ma è arrivato giusto per me il momento per dir come io sono, come io sento…  Sono un pirata ed un signore, più amor proprio che pudore, professionista nell’amore. C’è chi mi dice adesso che son più buono e là dove condannavo oggi perdono. Non vado a un appuntamento senza un fiore, t’impresto l’anima o il cuore, ma non confondo il sesso con l’amore…”

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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