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Il nuovo simbolo democratico e territoriale di Catania secondo Bob Liuzzo

Bob Liuzzo nato a Catania non vive più nella sua città da vent’anni ma se la porta sempre nel cuore, come dice lui in una “calda” intervista dal “vivo”, “molti la ripudiano e molti no” ma pensa che il legame con la sua città sia particolarmente “estremo”. Gli abbiamo chiesto cosa stesse facendo sul muro di via S. Michele, parallela strada della via Etnea, ormai deputata alle “giovani” gallerie d’arte cittadine, e ci ha risposto così alla domanda:

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“Una cosa che nessuno ha chiesto, che nessuno vuole, ma noi la facciamo lo stesso! Sto a Milano da 20 anni e faccio il coordinatore dell’istituto IED, Istituto Europeo di Design, io stesso sono un graphic designer. Credo che la grafica sia un ottimo strumento che non deve impaurire ma debba unire le persone: penso che siamo in un’era fin troppo piena di parole e “Le immagini uniscono, le parole dividono” citando Otto Neurath. Io amo Catania e i suoi simboli, ma quest’ultimi contengono “un’architettonicità” che non rappresenta realmente come sarà Catania dal 2020 in poi. Una città multiculturale, multietnica e metropolitana. L’Etna ha creato il nostro pavimento cittadino i nostri palazzi, l’Etna è la “grande madre” che è stata qui prima di noi…e che ci sopravviverà!”

Perché direttamente sul muro, volevi che fosse sotto gli occhi di tutti?

È un esperimento di design democratico, al di fuori di qualsiasi difficile spiegazione sono solo 3 linee incastrate che possono diventare un cerchio, un quadrato, un rombo e un triangolo: l’Etna, l’eruzione, lo sfondo del mare, anche un bambino le può disegnare. Sotto una frase presa dal piccolo principe: “l’essenziale è invisibile agli occhi” con “in” cancellato perché tutti possono vedere che questa è l’essenza di Catania. Non è un logo, non è un murales, non è una bandiera e non è mio, perché vorrei fosse di tutti. Diventa anche un modo di protestare: noi graphic designer siamo solo degli “espressori” di contenuto. Un designer oggi dovrebbe risolvere problemi o almeno, anche se non direttamente, potrebbe puntare il dito verso la soluzione, l’importante è che non si riduca ad essere un semplice esecutore.

Ma non ci sono già molti simboli che la fanno riconoscere, Catania?

Per esempio il “Liotru”, l’elefante nero, che comunque è fatto di lava, è il simbolo della città, unisce ma è difficile da rappresentare. Se esci fuori dalla città puoi scoprire che non rappresenta poi tutti i catanesi mentre l’Etna, con le sue eruzioni, il mare, la sua contestualizzazione, è una cosa in cui tutti in maniera trasversale si riconoscono e soprattutto è la cosa che “il residente si porta dentro e che il turista si porta dietro”.

Dietro questa “autonoma” proposta creativa c’è una provocazione verso le istituzioni?

Le pubbliche amministrazioni non dovrebbero chiedere loghi turistici ma territoriali. Il simbolo non è un marchio, un logo o una bandiera, non è stato voluto da una classe politica, non è stato progettato da un’agenzia di marketing, non nasce da una selezione in cui si sceglie quello che si capisce, nasce da me che mi definisco un designer “on the road”. Secondo me ha delle potenzialità per diventare un marchio moderno e utilizzabile in maniera distaccata da ogni simbolo religioso e libero da vincoli iconografici artificiali che richiedono delle interpretazioni lunghe e articolate.

In altre parole potrebbe essere un prodotto dell’inconscio, un’espressione dell’immaginario collettivo catanese e dell’hinterland orientale della Sicilia?

Probabilmente sì! In questo progetto grafico con le sue linee l’Etna e il mare non potrebbero essere subito visibili ma una volta risolto il rebus grafico e riconosciuti gli elementi, il legame emotivo con il segno significante e significato, diventeranno forti e incontrovertibili.

Quindi come vedi lo “sfruttamento” di questo simbolo democratico?

Non posso fare a meno di immaginarlo su spillette, magliette, cartoline, ma questa cosa dovrebbero farla le persone, perché questo simbolo nasce da elementi che Catania possiede, io li ho solo espressi con delle linee e delle bombolette su un muro, ho dato forma a qualcosa che era ed è sempre stata già lì e se veramente ho visto giusto da questo segno moderno nasceranno spunteranno delle gambine e dei piedini e se ne andrà in giro da solo. altrimenti ci potremmo, giocare al tiro al bersaglio. Sono i simboli che hanno bisogno delle persone e dei luoghi che li rappresentino: non il contrario!!!

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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