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E fu da quel torrione in un giorno di cui ricordo assai poco che mi gettai schiantandomi al suolo

Chi è Rossella Jannello?

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È una donna affamata di storie fin da piccola. Forse per questo ho scelto di fare la giornalista proprio per raccontare tante storie. Le storie degli altri, di personaggi ordinari che per un momento vivono una avventura straordinaria o personaggi straordinari che si trovano a vivere un’avventura ordinaria. Sul solco delle storie mi sono sempre misurata da lettrice prima e da scrittrice “usa e getta” come sono i giornalisti nel senso che l’indomani tutto quello che è scritto è già passato.  Finché un paio di anni fa mi sono ritrovata a scrivere da scrittrice o da saggista con vari tipi di scrittura. Io scrivo da trentanni per il quotidiano La Sicilia di cronaca bianca e ho diverse specialità: problemi legati al lavoro e occupazione da chi il lavoro lo cerca, da chi l’ha perso, dalle vertenze sindacali, raccontando storie disperate, storie difficili anzi più disperate sono, più si rivolgono a me. Molte storie hanno trovato una soluzione proprio perchè raccontate sul giornale in un certo modo.

 

Queste le storie degli altri. E le tue di storie?
Mi sono occupata delle mie storie e quindi di scrittura autobiografica con il sociologo Orazio Valastro, dell’associazione “Le stelle in tasca” e ho scoperto che è più semplice raccontare le storie degli altri che non quelle proprie, perché ti interroghi ad un livello più profondo, non sai quanto puoi cedere della tua storia personale… io l’ho prodotta un’autobiografia di cui sono molto orgogliosa: si chiama “Le stanze dentro”. Racconto la mia vita a partire dalle stanze che mi hanno contenuto in vario modo. Dalle aule scolastiche, alle stanze di casa,, alle stanze dell’università: mi sono resa conto che queste cose mi servivano anche a selezionare cose che io non mi sentivo di raccontare e di rinchiuderle dentro i cassetti, che poi magari avrei potuto riaprire in qualsiasi momento. Una selezione in cui sono scesa a patti con me stessa.

 

Perché scrivi?
Perché sento il bisogno di scrivere! Anche ora se per qualche giorno non scrivo per il giornale mi sento che mi manca qualcosa. Ho un rapporto magico con la scrittura che dà forma ai miei pensieri e io do forma alle mie parole. È come respirare. Anche quando sono stata col braccio bloccato ho provato la dettatura vocale e per un mese non ho scritto che con un dito, ma dovevo farlo per forza: sarà una droga!

 

Nel 2012 con lo psicanalista junghiano Riccardo Mondo abbiamo ideato “Sogno arcano” una fortunata rubrica, su La sicilia, dove abbiamo invitato i lettori a raccontarci i loro sogni. Analizzavamo le persone con un doppio registro la parte junghiana di Riccardo e la mia con gli Arcani maggiori dei tarocchi, amplificavamo i simboli che apparivano durante il sogno.  Abbiamo pubblicato un libro “Sogno arcano” dove abbiamo suddiviso i sogni per grossi temi: la casa, la madre e così via… un sondaggio sul tema dei sogni hanno risposto 650 persone cosa sogna, come sogna, se sogna colorato, i profumi…

E Angelina com’è arrivata?
Poi in questa esperienza di cronista 8 anni fa mi sono trovata davanti a questo caso di questa bellissima ragazza abbandonata da 108 anni in una cappella gentilizia al cimitero di Catania. Una   bara di cristallo dentro una bara di legno; fin quando la cappella era frequentata dai parenti prossimi era sicuramente uno splendore. Quando i parenti sono morti la cappella è caduta in rovina. I predoni l’hanno spogliata la cappella è semicrollata, i vetri infranti, anche quelli della porta di ingresso. È stato un mio collega che un giorno facendo un servizio sul cimitero, durante il periodo dei morti, mi disse di “una mischina imbalsamata”. Con le sue indicazioni mi misi a cercarla. La mattinata di novembre era immota, vento e foglie che mulinavano, ho provato a cercarla e non la trovavo perché avevo posteggiato l’automobile proprio davanti a lei. Mi fece molta impressione poiché il padre non la sistemò in posi­zione dormiente e braccia conserte: le mani distese gli occhi aperti e la testa che guardava verso la porta.  Io ti giuro che ho provato una pena, un dolore, mi sono sentita interrogata in prima persona: ma io cosa posso fare? Chi sei? Qual è La tua storia? Perchè sei rimasta sospesa tra due mondi? Ho cominciato a fare ricerche sulla sua storia, la connessione con la città e poi mi sono arrovellata per altri anni dicendo ma io come posso renderle giustizia? Come la posso aiutare? Le ricerche iniziano alla direzione cimiteriale dove caddero dalle nubi e mi dissero che non c’erano eredi. Mi chiama Santo Privitera lo studioso e scrittore di “Barriera-Canalicchio. Storia, evoluzione e immagini di un quartiere”, e mi racconta di una ragazza morta suicida gettandosi dal Castello di Leucatia. Ognuno sapeva un pezzo di storia. C’era pure un ammiratore di Angelina che durante il coma se la era sognata. Aveva forzato il cancello della cappella l’aveva ripulita: i denti, lo shampoo a secco, l’aveva sistemata tipo icona kitsch, ha spazzato il viale, la domenica riceveva persone per preghiere e forse faceva anche altro. Ai responsabili del cimitero ci sembrava un nipote.  Poi l’hanno bloccato e racconto nel libro come sono andate le cose.

 

Angelina racconta lei stessa in prima persona la vita e la morte. Il testo non cerca di giustificare il suo gesto, non è una lettura compiacente una ricerca di amore. C’è una ricerca precisa di un contesto storico inoppugnabile: i suoi 19 anni del 1911 la bellissima vita che faceva la figlia di un industriale del pellame con affari fino al sud America e uno dei figli che si trasferì là;  Angelina la figlia preferita; il suo amore era un cugino, un lontano parente, non aveva potuto studiare a causa della morte del padre e quindi faceva il contabile nell’azienda. E la tragedia: il padre decise che doveva sposare l’avvocato Florio 40enne. Fù così che durante un sopralluogo, al castello di Leucatia sua prossima dimora da sposata, Angelina si buttò dalla torre. Era un’ebrea a Catania e ho raccontato degli ebrei in quel periodo. Tramite il comune ho cercato di contattare i parenti.

 Perché il padre l’ha fatta mummificare?

Perché la poverina si è suicidata ed è stato un atto di insubordinazione! Un atto di protesta! Ma io ho voluto mantenere il tono di cronaca e lasciato i commenti a Orazio Valastro che mi ha detto che ho fatto bene a non giustificare il suo gesto: io lo presento il suo gesto. Valastro nel suo saggio postfazione parla in qualche modo di femminicidio: donna fantasma, donna bambina, donna dea bianca Leucatia (leukos bianco e thea dea), e madre sanguinaria che esigeva sacrifici sangue. Nella nuova edizione parlo anche del fantasma di Angelina: all’inizio non ne volevo parlare ma le testimonianze sono state tante e specifiche anche episodi successi a me personalmente.

 

 

Chi sono i tuoi lettori?
Io non riesco ad immaginarli. So per certo che ci sono delle appassionate lettrici che mi hanno  spinto ad aggiungere una serie di particolari come i vestiti di Angelina o la pilucchera mattutina che le pettinava prima della colazione; ulteriori ricerche per evitare incongruenze storiche tipo l’ospedale di S.Marco era già chiuso quando Angelina si è buttata ma c’era già aperto l’ospedale Vittorio Emanuele. In realtà questo libro è un docuromanzo perché c’è pure una bibliografia.

Credi nell’immortalità della parola?
“Le tue parole ti sopravviveranno” diceva Bufalino. Non sei veramente fregato finché hai una buona storia e qualcuno a cui raccontarlo.  Sto pensando infatti ad altre figure femminili.

 

Cosa ne pensi dell’ignoranza social?

Non soppianteranno mai i giornali: i social danno la notizia, il giornale la racconta! La potenza del giornalismo narrativo, la potenza delle storie vere, ti fanno “rizzare le carni” ovvero ti mettono i brividi addosso. Ma l’emozione di una storia vera è riduttiva sia per chi le legge sia per chi le scrive. Non a caso quando nei film o nei libri è scritto “tratto da una storia vera” la gente ne viene più coinvolta. Anche il fatto di far conoscere le storie ai ragazzi nelle scuole vicino al Castello di Leucatia ha avuto una funzione pedagogica. E come se avessi creato una figura mitica.

E noi che storie della nostra città ne conosciamo poche o quasi niente aspettiamo con trepidazione le prossime ricerche di Rossella Jannello cominciando la pubblicazione dell’incipit della Bella Angelina nei prossimi articoli.

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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