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A tu per tu con Massimo Recalcati

Martedì 26 febbraio al teatro Biondo di Palermo, Massimo Recalcati ha presentato il suo ultimo libro sull’importanza della lettura e dell’oggetto libro, in un’epoca che nel migliore dei casi dimentica, tralascia il libro perché considerato un “supporto” antiquato, non alla moda, soprattutto tra i giovani che spesso lo vedono come una montagna da scalare con fatica, e in ogni caso qualcosa che toglie tempo al “prezioso”, spesso inutile, ma sempre frenetico utilizzo del cellulare, dove leggere non significa affatto, com’era nelle generazioni precedenti (io ne sono un esempio), cominciare un viaggio, un’avventura immaginaria capace di far volare la fantasia e di insegnare la vita reale allo stesso tempo. L’autore ci spiega cosa significa leggere, come può un libro essere un incontro e cosa vuol dire incontrare un libro, perché alcuni libri non vengono dimenticati ma restano indelebili nella nostra memoria e anzi sono capaci di cambiarci la vita, di stravolgerla; nella seconda parte l’autore ci porta dentro nove testi che hanno lasciato un segno nella sua vita, dall’infanzia alla vita adulta.

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La tesi fondamentale consiste nel fatto che quando ci approcciamo alla lettura di un libro, questa non consiste in un processo unilaterale di fruizione di un oggetto – l’oggetto libro, cioè il testo. La lettura secondo Recalcati, non è un movimento del lettore verso il libro, non è un’acquisizione passiva del testo, ma l’azione di aprire un qualsiasi tomo e leggerlo ha la natura dell’incontro. Afferma l’autore – “Se l’incontro è qualcosa che modifica il corso di una vita, che la riorienta, se l’incontro è un evento che offre senso alla vita aprendola a una nuova immagine del mondo, allora un libro, indubbiamente, può essere un incontro.” Incontrare un libro è come incontrare una persona, incontriamo un’altra vita e ci apriamo ad essa: “Dopo quell’incontro la nostra vita non è più la stessa. In questo senso ogni vero incontro – come accade con un libro – è un incontro d’amore: nulla sarà più come prima”.
Partendo da questo presupposto, Recalcati propone tre definizioni del libro: è un coltello, un corpo e un mare. Ci sono dei libri che nella nostra vita rivestono un ruolo particolare, hanno la capacità di dividerla, così da poterla distinguere in un prima di quel libro e un dopo quel libro, una divisione operata da un libro che si è mostrato un coltello perché ci ha penetrato e ha operato il taglio. Inoltre l’autore contrappone questa immagine del libro come coltello a quella del libro come burro. Egli ci dice che un libro non è burro che si fa penetrare dal coltello, in altre parole non è un oggetto che viene consumato alla bisogna, penetrato da un coltello (il lettore) che ne asporta un pezzo dopo l’altro, ma siamo noi il burro che il libro-coltello attraversa offrendoci la possibilità di acquisire una forma nuova: afferma espressamente – “Il coltello non è negli occhi del lettore che legge il libro, ma è il libro stesso”. Leggere quindi implica la nostra disponibilità a farci tagliare dal libro, ad aprirci per accogliere questa lama che ci tocca nell’intimo.

La seconda definizione afferma che un libro è un corpo, cioè non solo una raccolta di nozioni organizzata in parole più o meno ordinata, più o meno artistica, ma è, e non solo ha, un corpo. Addirittura per il lettore può essere un corpo erotico con un suo “profumo, una carne, uno sguardo, una geografia sensuale”. È il mio corpo pulsionale che si smuove, e non solo la mia mente, dietro le immagini narrate. È necessario quindi leggere con il cuore se si vuole elevare il libro a corpo erotico. Il libro quindi non è solo il depositario di un sapere, non è un asettico elenco di conoscenze senza vita, non è un “erbario” pieno di informazioni sterili e di foglie morte. In questo senso lo scopo di un libro non è quello di “chiudere in sé il mondo ma di mantenerlo sempre aperto” e darcene una visione sempre rinnovata poiché il libro ha il potere di apparirci diverso ad ogni lettura. In questo senso, ad esempio, le mie cinque letture di Amleto nel corso della mia giovinezza, mi hanno regalato non solo una bellissima storia tragica, ma ad ogni lettura il testo – con i suoi mille rivoli concettuali ovvero filoni filosofici – si faceva strada nella mia mente, apriva varchi nuovi, stanze della mia mente che la mia giovane età da sola non era ancora in grado di aprire, consentendomi di farmi attraversare dalle pene amorose del giovane principe, di penetrare la contorta logica del dubbio Amletico e di conseguenza la dolorosa scelta della pazzia che lo conduce alla morte, e ad ogni lettura il testo mi diceva cose sempre nuove, per dirla con il Nostro, mi leggeva sempre di più.

 

 

Da qui la terza definizione, il libro è un mare e come il mare è sempre aperto, un mare chiuso sarebbe solo un grande lago. Per conoscere un libro dobbiamo innanzitutto aprirlo. Incalza Recalcati sottolineando: “Che senso avrebbe un libro che restasse chiuso, che non fosse mai aperto? […] Come il mare, il libro è una figura straordinaria dell’Aperto” e si contrappone al muro come simbolo di chiusura, di limitatezza, di confine.
In questa terza definizione il libro ha il compito, quasi una missione, di non chiudersi, di non costituire un limite, un confine, un muro – e ancora – “il libro è un mare e non un muro. […] Il libro è un mare perché porta con sé l’inesauribilità della lettura, in quanto un libro può essere letto in mille modi diversi”.

 

 

Esiste anche un muro del linguaggio individuato da Lacan, ma questo non si configura come “una barriera costruita per impedire il contatto con l’alterità irriducibile dell’Altro, con la sua differenza”, cosa che può destabilizzare il soggetto del lettore. Lacan sostiene che il soggetto uomo è un soggetto diviso, non completo, costituzionalmente mancante. Il muro del linguaggio si configura quindi “come un taglio traumatico che separa la vita da sé stessa […] è l’esistenza del linguaggio che produce l’esistenza dell’inconscio e non viceversa”.
L’apertura che ci offre il libro è la stessa che esso pretende dal lettore. Il lettore è chiamato ad aprirsi al libro, è lui che ci fa l’occhiolino dallo scaffale, che sceglie il lettore a cui aprirsi. Si potrebbe dire che è lui che ci legge, che ci apre dischiudendosi davanti ai nostri occhi: “leggere significa innanzitutto essere letti dal libro, esporsi alla natura del libro. […] Prima di essere dei lettori, siamo, infatti, tutti dei libri stampati dall’Altro, siamo dei libri scritti con le parole dell’Altro”.

 

Ma che significa aprirsi a un libro? Come può un libro leggere un individuo? Recalcati sostiene che “ogni lettura, come ogni incontro d’amore, è sempre l’incontro di più libri. Come minimo del libro del soggetto che legge e del libro che viene letto dal soggetto”.
Anche l’essere umano, quindi, può essere paragonato a un libro, ma scritto in una lingua privata. L’incontro con il libro è un incontro di “due memorie, due fantasmi, due storie che si intersecano”, di due lingue private, quella in cui è scritto il libro, la lingua dell’autore, e quella in cui siamo scritti noi dall’Altro. Per indicare questa lingua personale, intima, arcaica, Lacan conia un neologismo e la chiama lalangue (lalingua). Questa è la nostra prima lingua, la lingua di quando eravamo incapaci di parlare, una lingua senza legge, fatta di significanti staccati, di emozioni e affetti confusi, una lingua del corpo quindi, “che non ha nulla di universale, né di collettivo. Anzi essa è il luogo dove si coagula la singolarità irripetibile di una vita”. Quando si dice che il libro ci legge si intende dire che “scopro attraverso il libro una parte di me di cui non avevo conoscenza oppure trovo nel libro le parole per dire quello che oscuramente vivevo e pensavo senza essere in grado di nominarlo. […] Il deposito de lalingua costituisce la brace del nostro inconscio. La lettura riattiva il suo fuoco, rianima i suoi tizzoni sparpagliati. Le letture che ci leggono e i libri che non dimentichiamo sono quelli che hanno stabilito un contatto segreto con la nostra prima lingua. Sono quelli che ci rendono libri a noi stessi: libri letti dal libro”.

Dott. Carlo Martinens

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