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HomeI viaggi sicilianiSpoon River alla Saucòta, ovvero una gita a Savoca secondo Gabriella Vergari

Spoon River alla Saucòta, ovvero una gita a Savoca secondo Gabriella Vergari

«Dormono, dormono sulla collina, / Tutti, tutti, dormono sulla collina. / Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tome Charley / l’abulico, I’atletico, il buffone, I’ubriacone, il rissoso? / Tutti, tutti, dormono sulla collina». Edgar Lee Masters

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La citazione, forse poco originale, affiora tuttavia spontanea dopo una visita a Savoca. Per il ben noto cimitero, certo, ma non solo.

Quella del sottile vincolo e della sostanziale continuità tra vita e morte è di fatto una sensazione che serpeggia, leggera ma palpabile, un po’ dappertutto in questa piccola località del Messinese, non molto distante da S. Teresa di Riva.

Sarà per l’atmosfera rarefatta dei suoi vicoli, sarà per il silenzio della sua solitudine, sarà per il richiamo nostalgico della minuscola  terrazza del più famoso ritrovo locale, non occasionale teatro di alcune sequenze del film «Il Padrino», sarà per la bellissima statuetta al centro di piazza Fossia, che sembra il simbolo stesso dell’Attesa (ma l’autore, Giuseppe Mazzullo, l’ha intitolata La madre), sarà, infine, per tutto quel complesso di usanze, riti, formule e tradizioni che lega da sempre i Saucòti alla morte e, nella notte tra l’l e il 2 novembre, li spinge ancora oggi ad apparecchiare per i defunti, una mensa con pane, noci e vino.

Ci si sente comunque immersi in una dimensione particolare, quasi magicamente extratemporale, come se passato e presente fossero indissolubilmente fusi a raccontare una storia intensa, forse minore ma in ogni caso parallela a quella per così dire ufficiale. Vicende pubbliche e private, connesse a grandi eventi o lentamente scandite dal monotono scorrere della quotidianità, figure illustri e tipi loschi, martiri ed eroi, avvenimenti leggendari ed episodi autentici, tutto si intreccia, in questo paese arroccato su un colle bivertice, piuttosto lontano dalla costa, dove non stupirebbe se non fosse mai accaduto niente ed è invece accaduto tanto: guerre, dominazioni, epidemie, violenze, rivolte…

Ma anche – ed è questa, a parer mio, la testimonianza più viva e pregnante – l’avvicendarsi delle stagioni, il sorgere e il tramontare del sole, i ritmi e i tempi della semina, del raccolto, della tosa, le cadenze altalenanti della spola e del telaio.

Momenti ordinari ma universali, frammenti di un mondo agreste e pastorale ormai quasi del tutto scomparso, cristalli condensati nelle poche stanze del Museo Contadino di Savoca.

Una preziosa raccolta di arnesi, arredi, utensili, documenti e proverbi per la quale si attende da anni una sede più degna. Intanto però tutto sembra fermo e si spiegano anche forse così i silenzi, la stasi e il declino di un centro che fino a qualche tempo addietro era fiorente, sia per l’industria della seta, che per la produzione di vino, olio e agrumi.

Già in un articolo del 1962, Leonardo Sciascia ne parlava così: «… Un paese che si spegne. Che si disgrega. Un paese colpito dalla necrosi in ogni sua fibra, in ogni sua cellula: quasi che quei morti allineati nella Cripta dei Cappuccini avessero infettato della loro essenza, della loro rappresentazione, ogni pietra alzata dall’uomo».

Ed ecco che ci risiamo. Come in un ineludibile circolo vizioso, siamo tornati a parlare di morti e defunti. A saldare un presente agonizzante ad un passato ricco di vita ed energia.

Come potrebbe essere altrimenti, quando ci si trova alle prese con una terra – e intendo tutta la zona tra la Valle del Fiumedinisi e quella d’Agrò -, capace di rappresentare la lucida consapevolezza della caducità dell’esistenza, il senso della vanita del tutto, in versi ti tale cruda secchezza: «Chistu è lu munnu chi nni munna l’ossa: / semu comu lu ventu quannu passa. / A nostra casa l’avemu nta ‘na fossa, / chiddu ch’avemu cca’ prestu si lassa …»

Con una fantasia popolare che ancora paventa il ritorno del barone Altadonna, impenitente libertino, ingordo esattore dello ius primae noctis, «caduto>, pluriottuagenario. per… surplus amatorio?

Con un culto dei morti che, avvalendosi del metodo dell’essiccamento naturale – dopo 1o svisceramento ne1 colatoio, i cadaveri venivano ricoperti di sale per un certo periodo, poi ventilati con un gioco di correnti d’aria, quindi puliti con aceto e rivestiti degli abiti consoni al loro rango -, è giunto a mummificare i notabili (preti, giudici, poeti, abati, e baroni di Savoca), perché non divenissero purbiri scurdata?

Che li ha schierati 1ì, appena fuori le mura, con i loro abiti più sfarzosi, in bella mostra (si fa per dire), dentro le nicchie appositamente ricavate nella cripta de1 convento dei Cappuccini, in una sorta di macabra parata degna del Borges migliore (o del peggiore Dario Argento, fate voi)?

Vi è certamente, in tutto questo, una spasmodica urgenza d’eternità che merita comprensione o forse solo indulgenza.

Ma gli esiti – basti pensare alla sconcia ostentazione della nuda e avvizzita “virilità” del presunto barone Altadonna (povero lui) – non saprei se definirli tragicamente burleschi o semplicemente orrorosi.

Si tratta, in ogni caso, di una lotta, contro la corrosione e l’impietoso fluire del tempo, già perduta in partenza, per la rozza artigianalità del metodo di mummificazione impiegato, ben diverso dal sistema palermitano più «scientifico» e tecnico.

Una lotta inane, dunque, che la barbarie dei nostri giorni (ancora un presente inglorioso) ha reso più disperata da quando mani anonime e vandaliche hanno lordato di vernice verde le mummie, dimenticando il rispetto loro dovuto.

Per fortuna, gli altri monumenti del paese hanno subito una sorte meno umiliante e restano ancora intonsi (fino a quando?), ad attestare una vicenda sitorica ricca e densa: i ruderi del castello normanno, il trono dell’archimandrita, ‘u banchittu di galantuomini, in prossimità del quale ogni viddanu doveva levarsi la scuzzitta, poggiarla sulla spalla ed esclamare in ginocchio: Binidiciti a vuscenza! -, il telo tessuto dai bachi da seta in devozione della Madonna, l’acquasantiera del XVI secolo e il dipinto su tavola con S. Michele Arcangelo, i bei palazzetti con interessanti portali, l’arco d’ingresso al paese. Ma, impareggiabile dono di natura, su tutto prevale lo spettacolo incantevole della vallata che declina ai piedi del belvedere, il verde intenso degli alberi, il selvatico intrecciarsi degli arbusti, le chiazze delle rocce, il rigoglio dei cespugli e, giù giù. in fondo, il blu intenso del mare siciliano.

È proprio vero, allora, che Savoca ha sitti facci, come vuole il proverbio: a ciascuno allora il compito e il gusto di scegliersi la preferita!

Tutti gli articoli di Gabriella Vergari, concessi in licenza gratuita per la pubblicazione e la conseguente divulgazione al giornale on line www.siciliareport.it, sono protette dal diritto d´autore nonché dal diritto di proprietà intellettuale. È quindi assolutamente vietato pubblicare, copiare, appropriarsi, ridistribuire, riprodurre qualsiasi frase, contenuto o immagine concernente i racconti, perché frutto del lavoro e dell´intelletto dell´autore stesso. É vietata la copia e la riproduzione dei contenuti e immagini in qualsiasi forma non autorizzata espressamente dall´autore Gabriella Vergari.

tratto dal libro Capriccio Siciliano Edizioni Carthago

 

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