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Presentata oggi la rassegna Mitoff diretta da Salvatore Guglielmino

CATANIA – Presenti oggi alla conferenza stampa per la presentazione della rassegna di teatro classico “Mitoff” Giacomo Bellavia è il presidente del cda dell’Amt, Barbara Mirabella, assessore alla cultura del Comune di Catania, il regista Salvatore Guglielmino e la giornalista Elisa Guccione Gallitto che che si occupa della comunicazione stampa dell’intera rassegna. Bellavia, presidente Amt, giustifica la presenza della partecipata riferendosi alla mobilità sostenibile e ad un’operazione culturale che può cambiare la mentalità delle persone. Il regista Salvatore Guglielmino chiosa anticipando il filo conduttore di tutta la rassegna che sarà proprio quello del teatro classico, ma vestito di mito e musica insieme, dove lo stesso palco sarà un elemento scenico nell’uso olistico di quasi tutta la corte.
La rassegna, inserita nel cartellone “Catania Summer Fest” promosso dal Comune, prevede all’interno del Castello Ursino, a partire dal 31 agosto, la rappresentazione di tre tragedie del teatro classico: “Orfeo”, ispirato ai poemi di Virgilio ed Ovidio, “Fedra” di Seneca il 14 settembre e “Agamennone” di Eschilo il 28 settembre.
Presente in sala anche Mediamanager Events con il produttore Francesco Grasso.
Presenti anche alcuni attori che interpreteranno i personaggi della rassegna: Alice Ferlito, Ketty Governali, Paolo Toti Guagenti, Alessandro Ferrari.
Visione dell’opera da parte del regista Salvatore Gugliemino.
FEDRA di Seneca
Una rilettura singolare, un’analisi attenta, anche, attraverso le versioni di Virgilio, Ovidio e gli autori del 900.
Orfeo era un poeta e un musico.
La sua musica e i suoi versi erano dolci e affascinanti.
Questi si innamora pazzamente della ninfa Euridice e la sposa.
Non era il solo ad amarla, l’amava anche il pastore Aristeo e un giorno Euridice, per sfuggire a questo innamorato sgradito, venne morsa da un serpente al piede e morì.
Orfeo decise di andare a riprendersi la sua sposa e straparla al regno dei morti. Per le sue musiche strazianti gli dei degli Inferi si commossero. fu così che concessero ad Orfeo di riportare la sua Euridice nel mondo dei vivi, a condizione, però, che non si voltasse a mirarla prima di aver raggiunto la luce terrena. Orfeo, però, sì volto’ a guardarla e rimando’ Euridice nell’Ade.
Ne “L’inconsolabile” di Pavese, Orfeo ammette la verità, egli rinuncia volontariamente ad Euridice perché solo da morta ella potrà ancora ispirare la sua arte.
Per il poeta Fanocle, dopo la risalita alla vita, è la passione per un ragazzo, l’oggetto del suo canto tormentoso.
Nella versione di Ovidio, infatti, Orfeo insegnò ai traci ad indirizzare il proprio amore verso i fanciulli e per questo motivo le Baccanti, le donne di tracia, appunto, tramarono per la sua morte.
Virgilio, invece, ci racconta che Orfeo per amor di Euridice, si tenne lontano dalle donne sol perché non volle più sposarsi…nessun amore nessuna lusinga gli piegarono mai il cuore.
Cantò solo per la sua Euridice il suo amore.
Salvatore Guglielmino

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AGAMENNONE di Eschilo
Seneca, in quest’opera esaspera la passione di Fedra, il tormento che la divora, molto più che in Euripide: infatti la Fedra di Seneca perde qualsiasi attaccamento all’onore, che invece era risultata l’ultima spiaggia della Fedra precedente.
Nella tragedia di Seneca, troviamo un notevole cambiamento nella figura di Ippolito, rispetto al dramma di Euripide, che ora non è più caratterizzato dall’amore puro e totalizzante per la dea Artemide (o Diana per il contesto latino), ma dal disprezzo per il genere femminile e, più in generale, per il potere, che porta con sé i vizi, fino ad arrivare all’umanità intera. Quello di Seneca è un Ippolito che fugge la città, che evita il contatto con gli altri uomini per preservare la propria purezza, convinto che nella solitudine sia impossibile nuocere ad alcuno.
In questo dramma, Seneca sceglie di eliminare il tradimento della nutrice, in entrambi i testi personaggio fondamentale, e di far rivelare alla stessa madre la verità dei suoi sentimenti ad Ippolito. Questa variante viene poi esasperata nella scelta di eliminare l’inganno che la Fedra euripidea aveva escogitato per la salvaguardia della sua dignità, ultima cosa che le era rimasta: qui invece la donna sembra non avere altra preoccupazione se non la sua devastante e dilaniante passione, divenuta ormai incontrollabile. Sarà infatti la nutrice, cui sta a cuore preservare l’onore di Fedra, che avrà l’idea di mostrarla come vittima dello stupro. Ma Seneca vuole affermare la sua scelta, la sua linea ancora più palesemente facendo confessare la sua colpa a Fedra davanti a Teseo, poco prima di uccidersi.
Salvatore Guglielmino

Nell’Agamennone la fine della guerra di Troia, nata per il rapimento, da parte del troiano Paride, della consenziente Elena, moglie di Menelao, re di Sparta e fratello di Agamennone re di Argo, non è la fine della catena del male, ma l’origine di una nuova serie di dolori, atrocità e delitti.
Grazie alle Profezie di Cassandra, figlia di Priamo re di Troia, che trasponendo le vicende divine in umane e ponendo queste ultime al centro del testo, scopriamo come nella tragedia la violenza impone un ordine, una cosmica-,armonia.
Cassandra, diventata, schiava e amante, dopo la caduta di Troia, di Agamennone, ha, ormai, chiara visione di crimini antichi, presenti e futuri: Clitennestra uccide il marito reduce da Troia, reo di aver sacrificato la figlia Ifigenia immolata agli dei per la vittoria; Egisto, cugino di Agamennone, per vendicare il padre ed i fratelli assassinati da Atreo, padre di Agamennone, partecipa all’atroce delitto; Il figlio del re di Argo, Oreste, uccide Egisto e Clitennestra.
La catena inarrestabile di violenze che stanno a monte e a valle della guerra di Troia, si placa, sol quando; le Erinni, nella mitologia greca, le personificazioni femminili della vendetta soprattutto nei confronti di chi colpisce la propria famiglia e i parenti, perseguitano Oreste, fin quando Atena, la dea greca sapienza, delle arti e della guerra, chiude la catena con l’ istituzione dell’Areopago, ente superiore e collettivo contro chi per fare giustizia da sè pratica la vendetta.
“Quale uomo, che sappia la storia, può dire di essere nato all’ombra di un destino innocente” (Eschilo)
Chi per fare giustizia da sè pratica la vendetta, perpetrerà una catena di crimini antichi e non resterà immune al dolore e alla rivalsa d’altri…
Salvatore Guglielmino

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Paolo Zerbo
Paolo Zerbohttp://zarbos.altervista.org
Paolo Zerbo Direttore responsabile Laurea in Sociologia Communication skills and process model ICT developer
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