Le giovani donne siciliane raccontate da Nunzia Scalzo in “Vite Storte” sono fiere e selvagge, aspre come la Sicilia che le ha generate e le ha viste muoversi da contesti familiari patriarcali, alla ricerca di emozioni così forti da degenerare in fatti delittuosi.
L’abbiamo incontrata a margine dell’affollata presentazione del suo libro, svoltasi a Catania presso la libreria Cavallotto lo scorso 11 aprile e le abbiamo rivolto alcune domande
Può ritrovarsi un tratto comune nelle storie di “Vite Storte” rispetto alla personalità delle protagoniste ed al loro desiderio di caratterizzare la propria esistenza
Il tratto che accomuna le protagoniste di “Vite Storte” deriva in primo luogo dall’idea che le donne sono tutte “buttane”, vittime o carnefici; anche da assassine sono comunque “buttane”. La società siciliana fino al 1968 ha cavalcato a lungo questo stereotipo.
L’altro tratto è il desiderio di rivalsa nei confronti di un ambiente che ha voluto crescerle come sottomesse prima alle figure maschili di riferimento all’interno della famiglia e poi al marito. Questa scelta di “vivere” l’hanno pagata a caro prezzo.
L’ambientazione siciliana di queste storie definisce in qualche modo il risultato finale, nel senso che ne determina l’esito luttuoso ben al di là dell’evento?
Si, la Sicilia è un “unicum” e lo è, a maggior ragione la Sicilia delle donne.
Sarà anche per effetto di tutte le dominazioni che si sono avvicendate, tra tutte la dominazione araba, che ha lasciato un’impronta fortissima nella concezione e nell’idea della figura femminile, considerata come proprietà privata. E la donna così assume da un lato il ruolo di vittima ma dall’altro, una volta sposata e a maggior ragione se mamma di figli maschi, diventa un’aguzzina.
Vi è poi un’altra componente: la passionalità che si respira in Sicilia che è immediatamente percepibile anche nelle canzoni della tradizione siciliana, nei cantastorie, nei “cunti”, in cui emerge continuamente l’amore e la morte, strettamente connessi. Pertanto non è strano che alla fine le donne muoiano ammazzate o siano l’oggetto della contesa.
“Le femmine se la cercano” espressione che in origine è da considerarsi un marchio di fabbrica della nostra Regione se e quanto diviene giudizio comune degli eventi che imperversano ormai nella nostra penisola?
“Le femmine se la cercano” caratterizza la società siciliana e questa idea si è diffusa a macchia d’olio dapprima negli strati meno evoluti della popolazione ma poi a volerla dire tutta, le recenti sentenze confermano che anche le “teste pensanti” che dovrebbero decidere sulla base di prove acquisite e certe, sono molto spesso “inquinate” da questo lapidario, imbarazzante giudizio.
L’appuntamento letterario, riuscito e partecipato ha pienamente soddisfatto le attese e le premesse di buona lettura, che affidiamo comunque a lettori attenti ed esigenti.