Amazon, l’azienda fondata e guidata da Jeff Bezos ha annunciato alcuni giorni fa che nei primi tre mesi del 2019 ha guadagnato più di un miliardo di dollari mensilmente, il doppio dello scorso anno. E questo perché ha una attenzione ai clienti, al mercato e all’innovazione che non ha eguali. Non si potrebbe dire lo stesso per le condizioni di lavoro dei dipendenti, purtroppo e già ci sono stati diversi casi diindagine.
Dopo diverse denunce e alcuni scandali qualcosa pare sia cambiato. Negli Stati Uniti infatti, il salario minimo è stato alzato a 15 dollari l’ora e Bezos avrebbe sfidato pubblicamente i suoi concorrenti (cinesi) a fare lo stesso ben sapendo che se lo facessero fallirebbero, perché ad Amazon una parte importante del lavoro lo svolgono i robot-magazzinieri che non hanno salari. Ma il caso di Amazon dimostra che il problema che abbiamo davanti non sono tanto i robot che ci rubano il lavoro, come afferma l’ennesimo rapporto dell’Ocse, ma piuttosto la robotizzazione dei lavoratori.
Secondo alcuni documenti pubblicati dal sito The Verge, ad Amazon è in funzione un software, Adapt, che monitora le performance di ogni lavoratore, manda richiami in caso di cali di produttività, annota il tempo trascorso non lavorando, per esempio in bagno, si chiama Time Off Task, e dopo sei avvertimenti decreta automaticamente il licenziamento. Parliamo del software, non del capo del reparto che non ha alcuna possibilità di modificare i report settimanali. E’ il software che monitora e licenzia chi non raggiunge determinati parametri numerici.
Ci avevano detto che i robot sarebbero stati al nostro servizio e che noi umani li avremmo diretti, ma questo mi sembra l’esatto contrario. Ripensando alla promessa di Bezos di dimezzare il tempo di consegna dei nostri ordini, mi chiedo se ai magazzinieri di Amazon il software imporrà di raddoppiare il numero di pacchi fatti ogni ora.