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Roberto Napoletano racconta “la sfida di Meloni” e “la trappola a Draghi”

Giorgia Meloni e Mario Draghi. La prima donna premier e il suo illustre predecessore sono protagonisti nel nuovo libro di Roberto Napoletano, direttore del Quotidiano del Sud, ‘Riscatti e ricatti’ (La Nave di Teseo), in libreria da domani. In due estratti, pubblicati sul Messaggero, affronta in parallelo le ragioni che lo spingono a sostenere come il nuovo premier possa realizzare le riforme che servono al Paese, vincendo “la grande sfida”, e le ragioni che, nella sua ricostruzione, hanno portato alla fine del governo Draghi, “la vera trappola”.

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Il capitolo Meloni. “Quello che ha colpito nei giorni della campagna elettorale è stato il ripetuto richiamo a non fare promesse che non siamo in grado di mantenere, ovvero l’esatto opposto del populismo da ombrellone di Salvini e degli indefiniti contratti da decine e decine di miliardi che hanno segnato le numerose campagne elettorali di Berlusconi”, è la premessa di Napoletano. Un atteggiamento che ha mantenuto con coerenza anche a elezioni vinte. Meloni “ha quindi fatto benissimo a non fare la conferenza stampa il 26 settembre e a sottrarsi al solito pollaio informativo italiano, soprattutto televisivo, che è il principale responsabile di una rappresentazione non veritiera del Paese”.

Cautela che ha avuto anche l’effetto concreto di tenere sotto controllo lo spread. “Meloni non ha regalato parole in libertà alla speculazione e ha mostrato di non volere fare scostamenti di bilancio che interrompessero la traiettoria di discesa del rapporto debito/pil”. Napoletano arriva alla conclusione che “Giorgia Meloni può diventare la nuova Thatcher italiana, imitandola realizzando il cammino riformatore già avviato, o uno dei tanti leader politici italiani che vivono una stagione effimera di governo”.

 

Il capitolo Draghi. L’ex presidente della Bce, a Palazzo Chigi, “non è stato un riformatore radicale. Ha gestito con la diligenza del buon padre di famiglia”, scrive Napoletano. Poi, “c’è stato un problema reale di un coacervo variegato di soggetti, a volte molto distanti tra di loro, che ha lavorato alle spalle di Draghi, ma di cui si è parlato troppo poco”.

Napoletano fa riferimento “a una parte alta dell’amministrazione centrale e territoriale che ha l’atteggiamento di chi è abilissimo a spostarsi di lato in modo quasi impercettibile”. Sono “10/15mila persone che si trovavano molto a loro agio con Conte e hanno posto in atto nell’ombra la rivolta dei feudatari”. Perché “feudatari e mandarini di Stato, regioni e comuni sapevano che se il governo Draghi fosse riuscito a smantellare la feudalità delle corporazioni, che è il problema storico delle riforme in Italia, anche loro sarebbero finiti”.

 

 

 

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