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Selene, l’equazione di Dirac, e il cuore d’inchiostro di Teresa Tufo

Per conoscere la nostra originale scrittrice parliamo del suo romanzo Selene edito da Carthago Edizioni così iniziamo dalla fine dell’intervista in concomitanza con la sua istrionica personalità: e dal suo singolare tatuaggio:

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Il romanzo Selene è nato da una suggestione: il fenomeno dell’entanglement quantistico, ovvero “intreccio” “non separabilità”, la teoria secondo la quale se due particelle interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separate non possono più essere descritte come due sistemi distinti, perché tutto quello che farà una continuerà a influenzare l’altra, anche a distanza di chilometri o anni luce. L’equazione elaborata dal fisico britannico Paul Dirac spiega che, se due sistemi vengono a contatto, non possono più essere considerati come sistemi distinti perché, anche se si separano, continuano ad influenzarsi l’uno con l’altro. Questa suggestione mi ha ispirato la storia di un grande amore, uno di quegli amori che rischiano di rimanerti dentro per sempre anche se non riesci a viverli mai. Coloro a cui è capitato di amare, amare per davvero, lo sanno. Lo sa chi è fortunato nella vita da provare quelle sensazioni per un’altra persona che ricambia, continui a sentirtela dentro. Anche se la perdi. Specialmente se la perdi. Questo sentimento non può essere definito diversamente da “Amore”. Perchè, in qualche modo, si diventa un’unica persona. L’amore non ha presupposti logici. Puoi innamorarti di una persona passandoci pochi giorni oppure puoi renderti conto di quanto sia importante per te dopo anni. Ma l’attimo della vera consapevolezza di ciò che provi è quando la perdi. È lì che capisci quanto un altro “sistema” per dirlo come farebbe Dirac, sia stato fondamentale per te. Ci sono particelle – e persone – che donano ad altre particelle – e persone – una parte di sé, rimanendo inevitabilmente legate per tutta la vita. Come due particelle quantiche destinate ad essere legate per l’eternità.

 

 

 

Chi è Teresa Tufo?

Teresa Tufo nasce e vive a Napoli. Ha studiato Lingue e Letterature Straniere e Lettere. È docente di lingua Inglese in una scuola secondaria di primo grado della provincia di Napoli. Ho sempre amato leggere, libri, romanzi, poesia. Chi mi chiede quando ho iniziato a scrivere rispondo che ho cominciato col mettere i miei pensieri nero su bianco e tenuti lì in un cassetto, senza sapere se e quando venissero alla luce. Se qualcuno fino a poco tempo fa mi avesse detto che avrei pubblicato un libro da me scritto, non gli avrei creduto. Invece mi sono ritrovata una sera davanti al foglio bianco ed ho iniziato a metter giù parole. Ho cominciato a scrivere senza sapere chiaramente se poi avessi continuato, terminato. Una storia, la prima, quella di Micol, che invece, è nata dopo alcuni mesi, inaspettatamente. Con essa ho scoperto una parte di me che ancora non conoscevo, quello dell’amore per la scrittura, non solo come lettrice, ma in qualità di autrice. Il mondo della carta e dell’inchiostro nel quale i pensieri mutano in parole, le mie. Parole che trasmettono sensazioni, emozioni, tra respiri e sospiri ed arrivano ai lettori.

 

Perché scrive libri?

Rappresenta il punto più alto di ciò che sono, la parte di me che amo di più, quella che sente tutto. È anche la dimensione di me più fragile, forte e coraggiosa. Intorno a questa parte il centro è il cuore pulsante.

Scrivo perché la scrittura per me è un viaggio interiore ed esteriore complesso, alla ricerca della nostra vera sostanza, come il contenuto più intimo, quello che non a tutti permettiamo di vedere, è l’identità di sé stessi. La nostra sostanza che si contrappone all’apparenza. Qualcuno mi ha detto che ho avuto un bel coraggio a scrivere prima un libro e poi anche un secondo. Probabilmente perché ci vuole coraggio a intraprendere questo viaggio, ci vuole coraggio a separarsi di una parte di sé per donarla agli altri. Scrivere non è facile. Scrivere significa aprirsi l’anima, significa esporsi al giudizio degli altri anche non parlando di te. Scrivere significa mettere su carta una parte del tuo Essere più profondo che l’inchiostro rende indelebile per sempre. Citando Baricco, scrivere è tra le cose bellissime che amo e che mi salvano. Sempre.

 

Scrivere è una forma di autoterapia?

Non so se sia una forma di autoterapia, so che mi fa bene e mi fa stare bene. So che quando ho imparato a leggere ho scoperto il mondo, ma quando ho cominciato a scrivere ho trovato me stessa. Un cuore d’inchiostro, dico io. È attraverso la mia scrittura che riesco a mettere fuori e comprendere alcuni stati d’animo, ad organizzare in forma nuova i miei pensieri. Mi piace raccontare storie e trasmettere emozioni nelle quali i lettori si identificano. Mi piace immaginare che le mie parole saranno lette anche da chi non conosco.

Qual è la sua mission?

Utilizzare la scrittura per rispecchiare in qualche modo la vita vera. Scrivo sempre la verità. La realtà delle cose. Non potrei scrivere altro, nemmeno se volessi. C’è sempre una storia che merita di essere raccontata a mio avviso. Come la vita. La vita che ha i suoi percorsi inevitabili e spesso si scontra con la nostra parte più intima fin dentro le ossa. Ci tocca, ci mescola, ci travolge e ci sconvolge. Ci insegna la paura, il dolore, la gioia, la felicità. Ci insegna ciò che conta, ciò che dobbiamo lasciare e ritrovare. La vita non è mai una linea retta. Non ho mai immaginato la mia seguendo un’unica direzione. Ho dovuto cambiarla, rimettere passo dopo passo un piede dietro l’altro con gli occhi pieni di un nuovo sogno.

 

Che cos’è la letteratura?

La mia opinione è che sia il tentativo del genere umano di costruire una memoria comune che attraversa il tempo. La letteratura apre un mondo e può dirci com’era e com’è il mondo, ci porta a conoscere mondi diversi dal nostro, tra passato, presente e futuro. Esercita la nostra capacità a riflettere, apprendere, sognare, ridere, piangere. È il varco verso la libertà da noi stessi e per noi stessi.

Chi sono i suoi lettori?

Le persone a me care ovviamente, i miei conoscenti e amici, i miei affetti che non sono soltanto i legami di sangue ma anche quelli acquisiti, importanti e fondamentali, i miei alunni insieme alle loro mamme, chi mi segue sui social e chi ho avuto il piacere di incontrare dove finora sono stata e dove spero andrò.

 

Crede nell’immortalità della parola?

Certo che ci credo. Le parole restano incise nel tempo ed oltrepassano le distanze, ci vengono incontro e vanno incontro a chi conosciamo e non, le parole camminano senza fermarsi mai, in nessun luogo e per sempre. Sono quelle che si celano nel profondo di me stessa dando voce alla mia anima e resteranno anche dopo di me.

 

Come finirà con “l’ignoranza dei social”?

Come sovente accade, di ogni cosa, più che un uso se ne fa un abuso. Dei social soprattutto e mai come in questo momento. Sicuramente hanno dato la possibilità di “connetterci” tutti e permettere di conoscersi anche sulle lunghe distanze, ha creato la “comunicazione globale” permettendo flussi di informazioni che si muovono in tempo reale. Le distanze si sono ridotte e basta poco per mettersi in contatto con persone che possono trovarsi anche dall’altra parte del mondo. Ma ha dato a tutti diritto di parola, di diffondere a volte notizie non veritiere e se non si hanno conoscenze pregresse, non si può sapere se quelle informazioni, di cui non si conosce la fonte, siano fondate. Il rischio quindi è che prendano il sopravvento e che se non si hanno le conoscenze fondamentali e gli strumenti per analizzare e capire talune informazioni, distinguendo il vero dal falso, si diffonda sempre più l’ignoranza sul web. Ignoranza che genera ignoranza.

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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