Home Editoria Il “Tao del pedagogista”: ovvero come costruire il “proprio” megafono per comunicare...

Il “Tao del pedagogista”: ovvero come costruire il “proprio” megafono per comunicare al mondo il “benessere ed essere-bene” per l’altro

il Tao del pedagista

L’autore Giovanni Pampanini, insegnante e pedagogista è uno dei maggiori animatori dello studio e l’analisi dell’educazione comparata. Nel 2014 l’Asolapo UNESCO gli ha conferito presso l’Università di Rabat il Premio per l’educazione alla pace. E via dicendo come cariche e funzioni.

Fosse solo questo: è un uomo che ha vissuto cento vite! Come si legge agevolmente nel testo, nonostante abbia avuto diverse opportunità è rimasto e continua ad essere una persona umile che partendo da “doposcuolista”, studioso di psicologia e psichiatria è diventato “solo” un pedagogista che insegna ad interpretare la tua voce interiore. Ovvero: “Non ti imbocco il pesce ma ti insegno pescarlo!”

Trascriviamo la definizione di “benessere” ed “essere-bene” che da pedagogista, psicologa e filosofa trova la mia piena adesione:

“Benessere: la parola si presta ad un’indagine filosofica di tipo dialettico. dal significato non ambiguo la parola risulta dal connubio fra due parole bene ed essere. Vuol dire “stare bene” senza margini di incertezza. Eppure se si prova a girare l’ordine “essere-bene” piuttosto che “benessere” la domanda sgorga spontanea “essere-bene” per chi? In altri termini mentre “benessere” sembra essere un qualcosa che vale per me, l’essere-bene comporta un rinvio ad un’altra persona. Il benessere è un patrimonio mio, l’essere-bene, mi apre la prospettiva di diventare patrimonio per un altro. Se restiamo al benessere, l’attenzione si rivolge verso di me; se ci spostiamo all’essere-bene, ci dobbiamo volgere verso l’altro. Il benessere infine sembra essere un concetto statico è un qualcosa che sta fermo dentro di me, l’essere-bene diventa invece un qualcosa di dinamico, che mi permette di creare energia per andare e vedere come posso essere-bene per l’altro”.

Prendendo la summa dell’autore scopriamo:

Per essere-bene per l’altro bisogna capire verso chi si vuole dirigersi, ovvero il range in una realtà intersoggettiva verso quale dirigere il “proprio megafono delle cose da dire al mondo”: si può trattare classicamente del mondo della scuola o dell’università ma anche in una comunità, in un ente locale, in un’associazione di volontariato, nella sanità, in un’azienda (come esperienza della formazione), in una libreria, in una fondazione, nel Ministero della Giustizia in quello degli Esteri (la cooperazione internazionale) o in quello dei beni culturali presso una biblioteca o un museo.

“Quando il nostro pedagogista non è più una potenzialità ma tutti i motori sono pronti in alto per dire qualcosa al mondo “lui” non sta semplicemente lì e non si accontenta di misurare il “reale” ma usa sfidarlo. Il reale è la realtà interpersonale: la classe scolastica, i bambini con handicap in una scuola, una comunità per tossicodipendenti, i fruitori di una biblioteca, i collaboratori di un ente di cooperazione internazionale, gli ospiti di una casa circondariale”.

Il compito fondamentale di un illuminismo pedagogico, lui ce lo spiega in dettaglio,  è che il pedagogista “fa crescere come il lievito”. Come avrebbe detto 100 anni fa lo psicologo russo Vygotskij la zona prossimale di sviluppo, “il mio studente è arrivato fin qui quindi io non posso andare oltre”, dice il pedagogista da manuale, mentre nella psicoterapia questo sfidare “di andare oltre” si riferisce ad un diventare consapevoli dei propri limiti per far bene i conti con essi, per superarli, accettarli senza però recriminare.

Altra cosa fondamentale per costruire il Tao del pedagogista e quindi il megafono di cui sopra, per la “comunicazione al mondo”, è necessario l’uso di una “lingua franca internazionale”: per pulire il mio pensiero, perfezionare il mio messaggio, per testare le cose da dire e infine studiare e valutare l’opportunità di dirle… cioè la cura del megafono in una sola parola la mission del MIGLIORARE! Ed è così che proprio il qualcosa da “dire” porta il pedagogista ad avere spesso una posizione “scomoda”, di uno che fa un po’ pratica educativa della teoria, una filosofia dell’educazione, come se ci fosse una divisione tra teoria e pratica. Il pedagogista è comunque, a causa di questi pregiudizi didattici, l’espressione e la divisione in un luogo “senza soluzione di continuità”, una sorta di apolide in tutti e due mondi.

Tutte le culture non sono inutili: è a volte il modo di fare cultura che è inutile:

“Le culture sono sempre in un modo o nell’altro apertamente o implicitamente la maniera in cui l’uomo si relaziona al mondo, alla vita e alla morte e come tali sono semplicemente ineludibili. Ogni nostra maniera di “fare concretamente” è anche metaforica e simbolica. La nostra razionalità è sempre in interfaccia con il mondo dei valori, dei miti, dei ricordi e delle aspettative Il problema è mettere in dialogo le civiltà fra loro in maniera aperta, illuministicamente parlando, senza reticenze e senza innamoramenti per soluzioni del passato ma guardando al presente al futuro”.

Il Tao del pedagogista, per definizione propria del Tao, non finisce mai: non è una carriera, non è definibile come una maniera di agire, un mansionario o una antologia! È piuttosto, o forse l’unica definizione auspicabile, una funzione: la Funzione Pedagogica.

Exit mobile version