23 C
Catania
venerdì, Marzo 29, 2024
spot_imgspot_img
HomeCulturaRoberto Disma in scena: “La cultura è prevenzione”

Roberto Disma in scena: “La cultura è prevenzione”

La fiaba teatrale "Il villaggio della pulce", trent’anni dopo la strage di Capaci

È andato in scena per migliaia di spettatori nelle ultime settimane di maggio, da Palermo ad Acireale. I bambini, principali destinatari della fiaba teatrale Il villaggio della pulce, trent’anni dopo la strage di Capaci e nello stesso luogo dove si udì in quell’esplosione tutta la ferocia della mafia, quest’anno hanno urlato “Viva Falcone!”.

Pubblicità

La pièce teatrale di Roberto Disma è una fiaba e una storia vera, una contraddizione come la convivenza tra mafia e società: il Capitan Desperta racconta di un villaggio dove tutti gli abitanti sono abituati a versare la maggior parte del pane guadagnato a un losco capovillaggio e a un coccodrillo parlante che porta una pulce sulla sua testa. Non ci vorrà molto all’intraprendente e bizzarro capitano di ventura per scoprire che è proprio la pulce a dettare le regole, a suggerire al coccodrillo cosa dire e persino ad aver fatto eleggere quel capovillaggio a scapito dell’originale, rinchiuso in una torre in circostanze misteriose. Con l’aiuto di una fornaia e di un falcone – uno degli aspetti più geniali della fiaba – Desperta sollecita il villaggio – cioè il pubblico più giovane dello spettacolo che si ritrova parte attiva, secondo aspetto geniale – a ribellarsi e affrontare il sistema corrotto imposto dalla pulce. Ci riuscirà? L’abbiamo chiesto al Capitan Desperta in persona, nome d’occasione dell’attore e autore Roberto Disma.

Redazione: Ti chiamiamo Desperta o Roberto?

Roberto Disma: Dipende da cosa volete sapere, risponderemmo in modo diverso.

R.: Va bene, iniziamo da Desperta: dopo anni torni finalmente in scena e con uno spettacolo completamente diverso dal precedente. C’è stata una trasformazione graduale?

R.D.: Sì! In Fiorperduto, nel 2017, avevo una spada e mi ero messo in testa di aiutare Catullo a conquistare Lesbia, pur senza saperlo. Nel 2019, con I pozzi di Tipheret, la spada è diventata una chitarra e ho intrapreso un’evoluzione spirituale. Adesso, con Il villaggio della pulce, è rimasta la chitarra e i pantaloni sono diventati colorati, ma la tematica del viaggio è presente in tutte le mie vicissitudini.

R.: Però, stavolta, ti sei occupato di spiegare la mafia ai bambini.

R.D.: Non lo dire a me! Io volevo solo un po’ di pane, i bambini che l’hanno visto possono testimoniarlo, è stata la pulce a mettersi in mezzo e dovevo decidere se approfondire la questione o andarmene sconfitto. Ma io dico, potevo farmi battere da una pulce?!

R.: Ed è questa l’innovazione dello spettacolo: rappresentare la mafia come una pulce.

R.D.: Perché è esattamente quello! Un parassita che ha bisogno di noi per sopravvivere. Lo sapete cosa diceva Giovanni Falcone? “Se vogliamo combattere la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro, dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.

R.: Aspetta, però questa mi sembra una risposta di Roberto Disma.

R.D.: E avete indovinato, chiedo scusa per l’interruzione ma è necessario fare una precisazione: la mafia è una pulce perché si tratta di un parassita ed è bravissima ad apparire insignificante, ad insinuarsi senza dare troppo nell’occhio. Quando ci accorgiamo della sua pericolosità, ha già ammaestrato un coccodrillo e rimpiazzato il capovillaggio dettando le regole che più le fanno comodo; ma non è mai troppo tardi, perché suo malgrado non può smettere di essere un parassita.

R.: Allora dedichiamoci a te, Roberto: in passato ti sei occupato dei lager libici, del caso di Julian Assange, delle tensioni in Senegal e, ovviamente, della mafia. Ma questo è il tuo primo spettacolo per bambini, vero?

R.D.: Verissimo, e non riuscivo a immaginare cosa sarebbe successo. Il merito è della lungimiranza del Segretario Nazionale del Sindacato Autonomo della Polizia di Stato, Giuseppe Coco: eravamo concordi nell’organizzare qualcosa di semplice e diretto che si rivolgesse ai bambini, che spiegasse loro perché ricordiamo cos’è successo trent’anni fa, contro cosa combattiamo e perché la cultura ha un ruolo fondamentale in questa lotta. L’interesse di Tina Montinaro e della Quarto Savona Quindici è stato prezioso e, insieme alla squadra del SAP, il progetto ha dimostrato un’efficacia sorprendente.

R.: Ti occupi di mafia dall’età di quindici anni: prima con i corsi, poi col tuo terzo romanzo, poi con gli spettacoli. Usi rami artistici differenti apposta?

R.D.: No, prima d’ora non mi ero mai occupato di mafia spaziando contemporaneamente in più ambiti. Ho iniziato tenendo dei corsi extrascolastici in occasione di cogestioni, manifestazioni e iniziative di vario genere, soffermandomi in particolare sul profilo storico e sulla sollecitazione di proposte spontanee dei partecipanti per organizzare nuovi incontri; una volta ho avuto l’onore di ospitare un importante esponente siracusano della lotta al pizzo. Una componente onnipresente di quello che faccio è l’analisi storica del fenomeno, che credo sia determinante per comprendere la natura delle cose. Il romanzo storico Colosimo’s Café, pubblicato dalla MnM Edizioni nel 2016, è un noir ambientato tra la Sicilia, New York e Chicago del primo Novecento, che mette in luce l’evoluzione criminale dal declino della Mano Nera all’origine di Cosa Nostra. Con la mia compagnia Teatro alla Lettera, invece, nel 2018 abbiamo portato in scena la commedia degli equivoci Cose di Casa Nostra, incentrata sull’assurdità della famigerata trattativa Stato-mafia e sul ricambio generazionale mafioso dopo la stagione delle stragi. E nello stesso periodo, tra Palazzolo Acreide e Catania, è nata una collaborazione con la Fondazione Giuseppe Fava e l’orchestra MusicaInsieme a Librino per il recital Lezione sulla mafia, tratto dall’ultimo discorso di Pippo Fava prima del suo assassinio. Ogni espressione artistica ha le sue esigenze tecniche e tocca corde differenti, ma il fine ultimo è sempre lo stesso: la cultura è prevenzione.

R.: Adesso sei nella copertina dell’ultimo film di Paolo Taviani, Leonora Addio, unico film italiano alla Berlinale di quest’anno, e negli ultimi anni hai lavorato come attore, direttore artistico e sceneggiatore per le società cinematografiche Blue Cinema TV e Movie Logic. Prima ancora hai realizzato il film documentario Cristo si è fermato a Tripoli. Disma, quando facciamo un lavoro cinematografico sulla mafia?

R.D.: Bella domanda! Mi piacerebbe molto e non mancano le idee. Ma com’è facile dedurre dalle esperienze già citate, in quest’ambito ho lavorato il più delle volte come esecutore e non come ideatore: lavorare con Taviani è stata un’esperienza particolare, è un regista molto determinato e non credo ci sia bisogno che lo affermi io. Con la Blue Cinema TV e la Movie Logic ho avuto modo di sperimentare le nuove tecnologie interattive, come gli ologrammi, in un ambiente molto dinamico e propositivo in progetti di altissimo livello culturale. Cristo si è fermato a Tripoli è l’unico lavoro dove ho operato in totale autonomia, collaborando col centro d’integrazione Terra Viva Lab, in quanto naturale prosecuzione del lavoro condotto a teatro sulla tratta degli esseri umani dall’Africa con La ragazza di Mezra. Il cinema è un campo complesso, che richiede grande cooperazione tra forze molto differenti fra loro e dove io mi ritengo competente solo in misura parziale. Sarebbe bello se ci fosse maggiore attenzione nei confronti di chi intraprende certe direzioni, una maggiore accessibilità che, insieme all’ascolto e al confronto, consentirebbe di costruire nuove prospettive durature e virtuose, ma è una questione già affrontata da molti e da molto tempo. Se dovessi averne l’opportunità non mi tirerei certo indietro, l’importante è lavorare ponendo in primo piano una sensibilità responsabile, solo così avviene un progresso.

R.: Come i progressi avvenuti nel contrasto alla criminalità organizzata dalle stragi di Capaci e via d’Amelio ad oggi?

R.D.: È senza dubbio aumentata la sensibilità sull’argomento, dato che fino a pochi anni prima qualche personaggio pubblico sosteneva liberamente che la mafia non esistesse. Ma bisogna stare molto attenti a non cadere nella trappola della retorica: le manifestazioni e gli eventi tematici sono ottimi in sé, purché si rifletta sul motivo per cui oggi i mafiosi non si fanno problemi a citare Peppino Impastato dichiarando che la mafia è una montagna di merda pur di scagionarsi agli occhi dell’opinione pubblica, fatto impensabile fino a pochissimi decenni fa. E l’unica soluzione è quella di informarsi su cosa effettivamente sia questa mafia, sul perché non può essere paragonata a una semplice associazione a delinquere e pertanto necessita di un’attenzione particolare finché non sarà sconfitta.

R.: Da questa dichiarazione, deduciamo che vedi la fine della mafia più concreta di come la vede l’opinione pubblica.

R.D.: Ribadisco, parliamo di una pulce divenuta pericolosissima perché ha infettato l’intera società non appena ha potuto, tale è la sua paura di svanire. Se a questo aggiungiamo che l’operato del pool antimafia di Antonino Caponnetto ha effettivamente colpito il fenomeno nel profondo, al punto che da trent’anni questa pulce sta cercando di trasformarsi ancora, possiamo comprendere che la mafia stia vivendo un’inedita situazione borderline: è più potente di prima, ma è anche più fragile. La sua risorsa più preziosa è il controllo del territorio attraverso una cultura deviata e, su questa cultura, investe da molto prima che lo Stato iniziasse a comprendere l’importanza di “armarsi” culturalmente per contrastarla; quando sarà chiaro a tutti che la cultura è prevenzione e va valorizzata come tale, sconfiggeremo la mafia. Lo dobbiamo da cittadini, da istituzioni e soprattutto da artisti.

R.: Durante ogni rappresentazione de Il villaggio della pulce ai bambini viene spontaneo inneggiare ai principi di cultura, di libertà e urlano in coro “Viva Falcone!”. Puoi spiegarci il metodo e l’importanza di questi passaggi?

R.D.: Come ho raccomandato agli insegnanti delle scuole coinvolte quando ho potuto confrontarmi direttamente con loro, è necessario che i bambini vengano rassicurati di poter dialogare e confrontarsi con il Capitan Desperta. Nessuna imposizione, nessuna preparazione e soprattutto nessuna lettura preliminare del testo, altrimenti si corre il rischio di ottenere l’effetto contrario: devono essere liberi di scoprire e scegliere! A noi “grandi” l’incombenza di renderli consapevoli di questa scelta. E davanti a una pulce che affama la collettività in cambio di un’apparente convenienza del singolo, coscienti di poter scongiurare i suoi incantesimi assumendosi tutti insieme la responsabilità di tutelare la libertà con la cultura, non hanno esitazione nel liberare un falcone che ha bisogno dell’aiuto dei presenti per combattere la pulce. Anche questo è importante: nessun eroe nell’accezione mitologica del termine, dato che “Desperta” significa “risveglio” e si presta solo da filtro tra la realtà e la finzione, mentre il falcone ha esplicitamente bisogno di aiuto, del loro aiuto; è così che l’antimafia diventa un antidoto naturale e quotidiano che i bambini portano a casa di buon grado e con una spontaneità che ha lasciato piacevolmente sorpreso il mondo degli adulti che ha assistito alla rappresentazione, me compreso. Al Giardino della Memoria, ad esempio, qualche bambino si è fatto avanti proponendo soluzioni logiche per venire a capo della storia, ad Acireale qualcuno non vedeva l’ora che quella pulce venisse mangiata o calpestata da qualche personaggio; ognuno reagisce secondo la propria coscienza ed è giusto che sia così, purché si comprenda che questa libertà deriva dalla partecipazione di tutti. Lo comprendono, molto più degli adulti. E forse è l’entusiasmo a farmi parlare, ma far esplodere in coro quel “Viva Falcone!” nello stesso luogo che trent’anni prima è stato segnato dal tritolo della mafia, è stata l’emozione più grande. La mafia sopravvive anche grazie ai simboli che la identificano; ricorriamo ai nostri simboli, che tra cultura e libertà non mancano di certo!

R.: A proposito di simboli: il tuo ultimo romanzo si intitola Il viaggio – Vita e avventure di Giovanni Verga, pubblicato dalla Graphofeel Edizioni, è deducibile comprendere di cosa tratta; e Leonora Addio di Paolo Taviani tratta il viaggio delle ceneri di Pirandello. Dato che anche Il villaggio della pulce ha a che fare col viaggio, come ha dichiarato Capitan Desperta all’inizio dell’intervista, quali saranno i prossimi “viaggi” di Roberto Disma?

R.D.: Sto lavorando al sesto romanzo, il lavoro di ricostruzione storica più complesso che mi sia capitato, sia per l’ambientazione e sia perché ho individuato una possibile origine della mafia completamente inedita, che richiede i dovuti approfondimenti. Mentre sto lavorando con la Clama Cults a diversi spettacoli, tra cui un’accurata e bellissima ricostruzione di Claudia Caoduro sui processi per stregoneria, con le musiche di Marco Abbondanzieri: mi sono soffermato in particolare su questo spettacolo perché conferma il principio a cui mi sono sempre appellato, ossia che conoscendo il passato è possibile riflettere sul presente, ma non voglio dare altre anticipazioni. Nel frattempo, sto pianificando un nuovo spettacolo di Teatro Canzone con relativo album musicale, come ho fatto per Pro fondo Pro bono l’anno scorso. E, ovviamente, Il villaggio della pulce andrà avanti.

Allora chiudiamo con un saluto di Capitan Desperta!
La cultura è il mio onore, Libertà è il mio grande amore. Viva Falcone! E s’abbinnirica a tutti quanti!

 

Copyright SICILIAREPORT.IT ©Riproduzione riservata

Clicca per una donazione

Redazione CT
Redazione CThttps://www.siciliareport.it
Redazione di Catania Sede principale
Articoli correlati

Iscriviti alla newsletter

Per essere aggiornato con tutte le ultime notizie, le novità dalla Sicilia.

Le Novità di Naos

Il mensile di cultura e attualità con articoli inediti

- Advertisment -

Naos Edizioni APS

Sicilia Report TV

Ultimissime

Dona per un'informazione libera

Scannerizza QR code

Oppure vai a questo link

Eventi

Le Rubriche di SR.it

Vedi tutti gli articoli