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venerdì, Marzo 29, 2024
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Invettiva di Natale

Antico e futuristico. Meditare e videogiocare, leggere testi arcaici e vedere serie tv..
Sempre questa necessità di catalogare “male” tutto ciò che passa a fianco della nostra opinione, il paradossale, lo “straordinario”. L’ordinario “nostro” e lo straordinario degli “altri”. Proiezioni. Tutto ciò che non passa attraverso il “trombonismo” diventa eccezionale, e dunque “esotico”. Da qui l’indefessa moina della retorica imperante ripresa per il bavero.
Iconoclastie, queste sconosciute.
Lo Stato che “produce certezze”… il “posto fisso” è ancora la chimera di un’umanità parassitaria.
Senza il ritorno al “Sileno”, alla maschera capovolta vista allo specchio dal Puer, senza l’unione di infantile e senile non si dà iniziazione. Ancora questa caccia all’ “accoppiamento”, alla stabilità, allo sterile bisogno di normalizzazione che va a puttane non appena balla l’aereo, o qualcosa ci ferisce in superficie: nuove ritualità apotropaiche; l’esperienza della maschera.
E così si subiscono la Filosofia, la Scienza, la Cultura, come rapporti di dannazione, giacché senza fare della propria vita filosofia, scienza, cultura, si è perennemente nella concettualizzazione, nella proliferazione di equivoci che poi si faranno “matrimonio”, “coppia”, “famiglia” “stato” – al di fuori del concetto dello “hieros gamos”, ossia del rapporto col divino, del rituale di accoppiamento con l’Altro, nella dialettica tra mondi e creature di mondi alternativi.
Non c’è “amore” senza “sacralità”, questo processo “laico” del vivere fa semplicemente orrore.
Si professa il “credo” nella professione impiegatizia, para-statale, abbarbicati ai coglioni dello Stato per poi atteggiarsi – nel tempo libero – al patetico dei “maudit” urbani.
E dunque il… natalizio, il tempo sospeso, il tempo morto. Voglio vedere la mia personale divinità indoiranica nel suo perpetuo moto circolatorio delle sue tante braccia munite di spade… la voglio vedere tagliare tante teste.
C’è chi si avvicina al “futuro” per poi discostarsene: apre un cassetto pieno di meraviglie e poi lo richiude, per rifugiarsi nel dogma delle cose conosciute. E certo… fa paura il nuovo Network perché è… nuovo.
E così nelle case-bolla, nelle cellette dei sapiens, si celebra l’assurdo demenziale, mentre pochi chilometri sopra le nostre teste incombe la sideralità della bellezza disumana del Tremendo.
Essere inconsapevoli è bestemmiare.
La fabbricazione di questa realtà cementizia è opera degli ilici che hanno edificato sull’orrore filosofico, sociale, politico ed economico dei secoli scorsi. Chi non si ribella in ogni istante è colpevole, ossia ingranaggio di questo immane concorso di colpe che, tutt’assieme, costituisce la globalizzazione indotta.
Senza una reale e costante dialettica col Tremendo, una prassi meditativa e spirituale quotidiana, senza una reale centratura su questi fondamentali momenti di passaggio solstiziali, affogati nella crapula divoratrice e nella farsa del sentimento gretto, saremo sempre vittime della contingenza, degli eventi farlocchi concepiti dai concilii dei millenni.
Senza una reale invettiva non ci può essere alcuna “benedizione”, senza uno scuotimento dal mostruoso torpore non rimane nulla da celebrare.

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