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L’elisir d’amore: la semplicità della bella musica al Teatro Massimo Bellini

L’elisir d’amore è uno spettacolo gradevole nella sua semplicità, per altro richiesta dallo stile dell’opera

L’elisir d’amore è uno spettacolo gradevole nella sua semplicità, per altro richiesta dallo stile dell’opera, secondo me. Chi mi legge da anni sa bene che preferisco sempre la semplicità ad allestimenti faraonici di cui sfugge molto spesso il senso.
Partiamo direttamente quindi dalla regia curata da Antonio Calenda che, sono sicuro, affinerà alcune sottigliezze nel corso delle prossime recite ma che nel complesso è stata efficace e divertente. Si è fatto diventare Nemorino un biciclettaio, il che non stonava troppo con lo stile del personaggio. Certo, in un paese in cui tutti, ma proprio tutti vanno in bicicletta, immaginarlo senza un soldo fa riflettere ma, sarà stato un omaggio al giro d’Italia di passaggio a Catania proprio in questi giorni, o un caso, devo ammettere che non mi è dispiaciuto. Anzi l’idea di usare le biciclette come trovata scenica ha reso il tutto più dinamico quasi iconico, un ottimo contrasto con Dulcamara che fa il suo ingresso in scena con un mezzo a motore meraviglioso! Un mio personale grazie per averlo fatto entrare a motore spento.
Il celebre dipinto di Jean-Pierre Houel che ritrae uno splendido castagno dei cento cavalli, proiettato sullo sfondo della prima scena, ci da già da subito un’indicazione di luogo, che non è quella del libretto, ma anche in questo caso, fa parte del gioco del teatro e non stona affatto con la drammaturgia.

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Certo, se proprio vogliamo essere pignoli, superflua l’animazione delle immagini proiettate sullo sfondo, ma ammetto che erano talmente discrete da non disturbare affatto.
Unica, e devo dire, veramente unica nota stonata è stata la scelta, forse dettata da un entusiasmo iconografico della messa in scena, è stato porre gli ottoni a fondo scena all’inizio del secondo atto. Bello da vedere senza dubbio, ma una sistemazione tale ha reso evidentemente difficoltoso ai sempre eccellenti maestri dell’orchestra del Bellini, sentire il resto dell’orchestra con cui faticavano a tenere il tempo di esecuzione.
Inciampo egregiamente superato dal complesso della regia che ripeto, semplice, efficace e d’effetto.

 

Nonostante l’evidente emozione della prima, perfettamente controllata ma assolutamente piacevole, ha brillato Irina Dubrovkaya.
Bella, a suo agio nella scena pur non aggredendola, dalla voce limpida e dal fraseggio perfetto purtroppo due o tre volte ha avuto difficoltà a seguire l’orchestra e non è stata la sola, tanto da far pensare che il direttore Tiziano Severini, di tanto in tanto, avesse qualche difficoltà a gestire l’impianto strumentale e vocale insieme. In effetti c’è da notare anche l’esecuzione a tratti lenta, forse per agevolare i cantanti in alcuni passaggi, ma che disperdevano il mordente tipico della composizione Donizettiana.

 

Sono pronto a scommettere che anche queste piccole imprecisioni si sistemeranno come spesso accade, col procedere delle recite. Purtroppo sempre più spesso vediamo messe in scena che alla prima sono ancora in fase di rodaggio.
Alfredo Polizzano

 

 

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