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“Tenet”, il film scritto e diretto da Christopher Nolan

“Tenet” è un esperimento, un altro oggetto filmico singolare introdotto da Nolan nel suo chiassoso percorso volto a scardinare i nessi causa-effetto della narrazione cinematografica. Paradossalmente, il suo è un cinema di “potere” che ha la forza di generare l’irruzione in scena dell’armatura senza testa e corpo, del Fortebraccio-oggetto-filmico che si presenta con fattezze apparentemente antropomorfe, ma che in realtà è strumento, arma acefala e fredda del Disumano.

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Intendiamoci: non stiamo tessendo le lodi di “Tenet”, film che per lunghi tratti ci ha anche annoiato e infastidito, tra fracassi e putiferi che, sul momento, sembravano condurci tutt’al più verso una raffinata riproposizione di un film “à la Michael Bay”. Poi però c’è l’indomani, la giornata che si offre all’assurdo e al razionale del quotidiano. E allora tornano a presentarsi i vari momenti del film che, come frammenti di un puzzle, chiedono e necessitano di essere incastrati. Non so se qualcuno dei lettori ha mai provato a riavvolgere il nastro della giornata prima di prendere sonno. Per me è quasi impossibile, finisco con l’addormentarmi dopo alcune scene ritroso. Ecco, nell’ultimo film di Nolan c’è questo “riavvolgimento” continuo, questa esplorazione depistata dal clangore e dalla compresenza d’una sorta di “totalità sinestetica”, la quale è tenuta insieme da dialoghi che appaiono schematici perché sono il “segno” di una tessitura che ha mera funzione di collante. Insomma, siamo di fronte a una creatura audio-visiva che fagocita se stessa, al cinema che divora il cinema, al boccascena dell’opera che si fa endoscopio e guarda alle viscere della stessa teatralizzazione, della messa in scena, all’eternità della mortalità dell’immagine. Ci andrei cauto, in buona sostanza, col liquidare “Tenet” alla voce dei film mal riusciti, fermo restando che il gusto di ciascuno non è mai sindacabile.

“Tenet” è in buona sostanza un film poliritmico che mette a dura prova i sensi e le coordinate percettive dello spettatore, un film totalmente e volutamente privo di “poesia”, in cui le maschere dei protagonisti si agitano come spettri virtuali nel limbo sensoriale di quest’opera palindroma, un vero e proprio rompicapo che spettacolarizza l’entropia, scavando nel delirio di chi è determinato a comprendere. Siamo di fronte a un (s)oggetto complesso che si presenta con le caratteristiche del prodotto da blockbuster, a un’architettura molto sofisticata che si mimetizza dietro le fattezze d’una villetta a schiera. Stiano molto attenti i detrattori, che a criticare “Tenet” si corre il rischio di rimanere intrappolati in un tesseract.

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