Ovvero: la bellezza dell’andare al cinema. Quando il cinema incontra i grandi capolavori dell’arte, della letteratura e del teatro, il rischio è quasi sempre quello della celebrazione più o meno paludata. Non è il caso del “Cyrano” di Alexis Michalik, qui alla sua prima opera, come regista, sceneggiatore e anche attore (interpreta Feyedau).
Il film è scritto meravigliosamente e girato ancor meglio, in una danza vorticosa fatta di entrate e uscite dal palcoscenico del mondo e di libere licenze poetiche sulla reale storia di uno dei personaggi più famosi di sempre. La storia di Rostand (interpretato magnificamente da Thomas Solivérès) diventa così quella del suo capolavoro, in un costante gioco dialettico tra la vita dentro e fuori dalle scene, e cattura fin da subito grazie alla sofisticata miscela del dialogo poetico con la passionalità avvincente propria di ogni storia scritta nella trance del visionario.
Poco importa poi, se da un punto di vista filologico, sia vero o no che Rostand abbia scritto il “Cyrano” in tre settimane. “Cyrano Man Amour” è la quintessenza di ciò che si vorrebbe avere dal cinema: emozioni e trasporto e poi ancora trasporto ed emozioni. E così, quando appaiono i titoli di coda, il sipario delle nostre vite rimane sempre aperto, come quello del Théâtre de la Porte Saint-Martin che, quel 28 dicembre 1897, non scese giù dopo le quaranta chiamate del pubblico.
Si esce fuori dalla sala con passo leggero, commossi per la forza delle passioni e per la forza di certe storie che paiono graffiare i bastioni del tempo. Penso a Collodi e al Pinocchio di Comencini, e poi alle suggestioni di questo film: grandi palpitazioni dell’animo, questione di nasi, differenti scenari, stessa magia.
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