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Riforma Cartabia: un giudizio, due domande, la fine di un amore

  • “Voglio la separazione!”
  • “E io pure il divorzio!”

Oggi è possibile.

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Il 28/02/2023, con il D. Lgs. 149/2022, è entrata in vigore – sebbene ancora parzialmente – la Riforma Cartabia in materia di persone, famiglia e minori.

Tante le novità, tanti i dubbi, tanto da sperimentare.

La Riforma ha toccato la nostra legislazione in modo pregnante, riportando Avvocati, Magistrati e Cancellieri sui banchi di scuola, sui libri e sulle dispense, intenti a studiare un nuovo modo di fare giustizia.

Tra i molteplici interventi operati non può trascurarsi che il Decreto Legislativo 149/2022 ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 473bis 49 c.p.c. specificamente titolandolo “Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Una norma che ha destato l’attenzione di molti, giuristi e non, spesso inducendoli ad interpretazioni errate.

 

 

Vale quindi subito la pena precisare che la Riforma non ha abrogato l’istituto della separazione coniugale. Esso sopravvive e, salvo casi eccezionali, è propedeutico alla pronuncia sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio (definito comunemente divorzio) che segna definitivamente la fine del rapporto di coniugio.

Quindi, la separazione coniugale resta necessaria come passaggio intermedio e continua a potersi realizzare nelle forme della negoziazione assistita in materia di famiglia, della separazione consensuale o della separazione giudiziale (in assenza ad es. di accordo, di comune volontà, di irreperibilità di uno dei coniugi, o in presenza di domande di addebito).

Ottenuta la pronuncia sulla separazione coniugale, decorso il termine di legge per il passaggio in giudicato della sentenza (prima della Riforma, in ipotesi di separazione coniugale consensuale, il Tribunale emetteva un Decreto di Omologa rimanendo la decisione emessa con sentenza relegata all’ambito contenzioso della separazione giudiziale; mentre oggi, la separazione è sempre pronunciata con sentenza anche se consensualmente richiesta – art. 473bis 51 c.p.c.) e decorso il termine previsto dalla legge senza che vi sia stata riconciliazione nella coppia, è possibile avviare la procedura per ottenere una pronuncia di divorzio.

Più nel dettaglio, una sentenza passa in giudicato se non viene impugnata.

I termini affinché divenga non più soggetta a gravame sono individuati dalla legge in sei mesi dalla pubblicazione (termine lungo ex art. 327 c.p.c.) o in appena un mese in ipotesi di notificazione (termine breve ex art. 325-326 c.p.c.). Al predetto periodo dovrà sempre sommarsi, se incidente nel decorso, il termine della sospensione feriale attualmente previsto dal 1 agosto al 31 agosto.

Unitamente al passaggio in giudicato della sentenza separativa, deve ugualmente essere decorso il termine previsto dalla legge (Legge 6 maggio 2015 n. 55) affinché la separazione possa dirsi irrevocabile tra i coniugi: vale a dire, un anno a far data dalla comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale nei procedimenti di separazione giudiziale; sei mesi per le separazioni consensuali, nonché per quelle nate come giudiziali ma trasformate successivamente in consensuali, nonché per quelle ottenute a mezzo dello strumento della negoziazione assistita in materia famiglia.

Il decorso dei due termini sopra elencati risultano essere condizioni di procedibilità della domanda (senza voler entrare troppo nell’aspetto tecnico, certamente lo è il requisito del passaggio in giudicato della pronuncia sulla separazione, rimanendo invece il requisito della mancata ricostruzione dell’unità familiare un elemento dal carattere accertativo/dichiarativo dello status).

Precedentemente alla Riforma dunque, certi i due requisiti sopra menzionati (passaggio in giudicato della pronuncia e decorso il tempo di vita separata senza che vi sia stata riconciliazione tra i coniugi e ripristino della convivenza) era possibile presentare nuova domanda per promuovere il procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, così avviandosi ex novo un altro giudizio.

Tutt’oggi, la possibilità di promuovere due diverse procedure è sempre possibile, potendo i coniugi anche decidere per un lungo lasso di tempo di permanere nel mero status di separati, senza necessariamente recidere definitivamente il legame coniugale.

Anche nell’ipotesi di domanda di divorzio ricorrono le tre possibilità sopra menzionate: negoziazione assistita in materia di famiglia, divorzio congiunto (su domanda di entrambi i coniugi separati), divorzio contenzioso (in ipotesi di mancanza di accordo).

Tuttavia, la novità introdotta dalla Riforma consta nella possibilità, ove così sia desiderio della parte, a mente dell’art. 473bis 49 c.p.c. di presentare nel medesimo giudizio, entrambe le domande. La norma infatti recita: “Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale,  le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse.”

Ne consegue che, congiuntamente alla richiesta di pronuncia sulla separazione, la parte che vi abbia interesse, può già introdurre la domanda di divorzio, fermo restando che il Giudice dovrà in ogni caso attendere che si compiano i due requisiti di procedibilità già esposti. Quindi, in presenza di cumulo di domande, il Giudice pronuncerà senza indugio la domanda sullo status, vale a dire la separazione dei coniugi; poi, maturati i tempi del passaggio in giudicato della pronuncia, nonché decorso il termine di legge senza che vi sia stata riconciliazione coniugale, potrà, confermata la volontà dei coniugi a così procedere, decidere del divorzio.

Il vantaggio è principalmente un risparmio di energie processuali, ma soprattutto, possedere il medesimo interlocutore per i due procedimenti, vale a dire il medesimo Giudice che avendo sin dall’inizio seguito la diatriba, non avrà necessità di una nuova narrazione processuale ma solo di istruire le domande relative ai due istituti.

Se apparentemente la Riforma snellisce i procedimenti necessari ad una rapida definizione del rapporto coniugale, non può tacersi che già in questi due mesi si sono evidenziati alcuni dubbi applicativi.

Ed infatti, la norma in questione è senza dubbio precisamente riferita alle ipotesi contenziose.

Non viene però espressamente richiamata nelle ipotesi di separazione consensuale come disciplinata dall’art. 473bis 51 c.p.c. (domanda congiunta); di talché non essendo pervenuto un espresso richiamo, vi è chi non la ritiene estensivamente applicabile.

Nel nostro ordinamento infatti vige il divieto di accordi relativi al divorzio e raggiunti in sede di separazione (ritenuti inficiati da nullità e/o illiceità della causa), fatto che potrebbe determinare una pronuncia sfavorevole nei confronti delle parti che incautamente abbiano avanzato la richiesta in difetto di una espressa previsione che ne estenda l’applicabilità anche al caso delle separazioni consensuali, esponendosi altresì il difensore a responsabilità professionale.

Nell’ipotesi in cui infatti si dovesse  avanzare in sede di separazione consensuali anche domanda divorzile congiunta, ci si troverebbe innanzi a due coniugi che mentre si separano, decidono anche le condizioni del divorzio, così integrando pienamente il divieto citato. Mentre nelle ipotesi di separazioni giudiziali, il cumulo delle domande non realizza alcun patto tra i coniugi, che sono già aspramente in lite.

Così la previsione normativa di assoluta novità è oggi al centro di dubbi ed incertezze, avendo creato l’insorgere di due fazioni caratterizzate, da un lato, da chi la ritiene sempre applicabile e dunque anche alle ipotesi di separazione consensuale, dall’altro, in ossequio alla tradizione della giurisprudenza di legittimità, solo alle ipotesi contenziose.

Pure di non poco rilievo è la questione pratica su come effettivamente gestire il fascicolo di causa in attesa del compimento dei pre-requisiti per accedere al divorzio, restando detto fascicolo, tra la pronuncia di separazione e il decorso dei termini, in un lungo periodo di quiescenza/inattività.

Pare a chi scrive che invero si intende accorciare sempre più la distanza tra il momento della frattura coniugale e la sua definizione irrevocabile, stringendo via via i tempi di sopravvivenza giuridica dell’istituto della separazione, di fatto già escluso, per esempio, nelle unioni civili.

Resta il fatto che oggi un Avvocato può trovarsi dinnanzi ad un cliente che senza indugio, a fronte della richiesta di separazione pervenuta dall’altro coniuge, chieda al legale di disciplinare già la fine irrevocabile del matrimonio.

Un giudizio, due domande, la fine di un amore.

Avv. Cettina Marcellino

 

 

 

 

 

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Cettina Marcellino
Cettina Marcellino
"Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell'assistito [...]"
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