L’artista russo naturalizzato statunitense Ilya Kabakov, considerato uno dei fondatori del concettualismo dell’era sovietica, è morto sabato 27 maggio all’età di 89 anni. La scomparsa è stata annunciata sulla pagina Facebook della Fondazione Ilya ed Emilia Kabakov. “L’uomo che ha sognato l’utopia per tutta la vita”, come lo ricorda la sua famiglia, si è spento con accanto la moglie, anche lei artista, Emilia Kanevsky, 78 anni.
Kabakov ha avuto la possibilità di uscire dall’Urss solo nel 1987, trasferendosi negli Usa e così affermandosi sulla scena internazionale, pur avendo presentato alcune sue opere in Europa fin dal 1965. Dal 1992 viveva tra New York e Long Island con la moglie Emilia Kanevsky, sua collaboratrice dal 1988.
Nelle opere di Kabakov gli oggetti e le immagini della vita quotidiana sono distolti dalla loro dimensione di ovvietà e ricollocati come simboli delle profonde contraddizioni della società sovietica. I supporti materiali su cui si esercita la ricerca artistica di Kabakov sono costituiti da opere su carta, performances e installazioni. Ha partecipato alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Lione e a Documenta di Kassel, ottenendo prestigiosi riconoscimenti (nel 1993 i premi Beuys di Basilea e Beckman di Francoforte e una menzione d’onore alla Biennale di Venezia; nel 1998 il Premio Kaiserring di Goslar). Primo artista russo vivente di cui sia stata allestita un’esposizione all’Hermitage di San Pietroburgo (2004), sue personali sono state allestite al Macro di Roma (2010), ad Hannover (2011) e Milano (2012).
Nato il 30 settembre 1933 a Dnepropetrovsk (oggi in Ucraina), Ilya Kabakov studiò a Leningrado e, dal 1945, a Mosca, dove frequentò l’Istituto superiore delle arti e l’Istituto Surikov, diplomandosi come illustratore. Accanto alla sua professione, svolta nell’ambito della letteratura per l’infanzia con l’illustrazione di oltre cento libri, ha avviato la sua ricerca artistica, privilegiando fin dall’inizio un gioco sottile di relazioni tra elementi verbali e visuali. Si tratta di immagini e oggetti di vita quotidiana, di esperienze personali, di miti politici del totalitarismo, che evidenziano le drammatiche contraddizioni della società sovietica, animano gli “Album” (1972-78), opere su carta che fondono narrazione e illustrazione, così come le performances e le complesse installazioni che da questi derivano. Significativo è il ciclo dei “10 Personaggi” (1972-75), con le installazioni “L’uomo che colleziona le opinioni degli altri”; “L’uomo che volò nello spazio dal suo appartamento”; “L’artista senza talento”; “L’uomo che non buttava mai niente”, ecc.
Tra le sue installazioni presentate nelle numerose mostre personali si ricordano in particolare: “The red wagon” (1991; Düsseldorf); “Incident at the museum, or Water music”, con la collaborazione del musicista Vladimir Tarasov (1992, New York, Feldman Gallery; presentata poi a Chicago, Darmstadt, Lisbona, ecc.); “Het grote archief” (1993, Amsterdam, Stedelijk Museum); “Noma oder der Kreis der moskauer Konzeptualisten” (1993-94, Amburgo, Kunsthalle); “C’est ici que nous vivons” (1995, Parigi, Centre Georges Pompidou); “The children’s hospital” (1998, Dublino, The Irish museum of modern art); “The palace of projects” (1998, Londra, Roundhouse); “Monumento alla civiltà perduta” (1999, Palermo, Cantieri culturali alla Zisa); “Life and creativity of Charles Rosenthal” (1999, Mito, Art Tower); “The rice fields” (2000, Niigata, Echigo-Tsumari Art Triennial); “The fountain” (2000, Middelburg); “Where is our place” (2003, Venezia, Biennale); The ship of Siwa (2005, Egitto).