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Arte e psicanalisi: la vacua potenza narcisistica della pittura di Valerio Valino secondo l’analisi della psicologa Susanna Basile

Le riflessioni dell’artista Valerio Valino sulla sua pittura
La mia Pittura è una Pittura svuotata dal contenuto, una Pittura presente “solo” nel suo processo di formazione. Cerco di avvicinare la Pittura più ad un semplice processo, rispetto ad un fine volto ad essere “usato” come “finale”, o come concetto, o (peggio) come manifestazione di rappresentazione, simbolismo o mimesi. La commistione tra caso e volontà del pittore, tra pattern naturali che si muovono con leggi naturali e geometria razionale umana che non si muove, tra traccia organica e traccia antropica, mi è utile per raggiungere uno stato di dialogo tra me e qualcosa di più grande: qualcosa che non posso controllare ma che controlla non solo le mie pitture ma con esse anche la mia realtà tutta. Lavoro sulla “negazione del pittore” pur non negando l’identità del linguaggio pittorico. Di fatti il principale costituente del quadro è l’assenza del pittore potremmo dire, anche in senso di assenza del segno umano “marcato”, indice di carattere umano che non vi è.
Appunto mi piace affermare che:
“L’Arte è più grande dell’Artista, è proprio l’Arte che vive l’artista, lo vivifica, lo indossa, lo penetra, lo sublima, lo possiede e lo fa “essere”. L’Artista è la dimensione interna dell’Arte, il suo dentro.”
“Esprimere sé stessi è un atto di potere che fa estendere il proprio agire sull’altro e sul mondo in maniera gentile senza imposizione né violenza. Questo potere è il potere dell’Arte che tramite noi, che siamo appunto la sua dimensione interna crea relazioni nuove anche oltre noi: ecco che possiamo parlar di Arte come atto di Potere”.
“Questa presenza dell’Arte nell’assenza del pittore è “visibile” perché le forme son dettate non direttamente dalla mano del pittore, ma da processi di natura fisica. Anche la geometria razionale è figlia di guide, matrici o stencil che non fanno parte dell’opera in sé e che non esistono in maniera diretta “dentro l’opera”. Sia che siano presenze derivate da elementi “organici” od “umani”, sono pur sempre delle presenze traslanti in passaggio, che nel loro non permanere lasciano una testimonianza che “cade” nel quadro”.
In questo senso, credo che la “Vacuità” sia un concetto che vada a fondo nella verità delle cose, e quindi anche nell’atto creativo che costituisce le mie Pitture, che sono “cose” così come le altre “cose” che contemplo in Natura.
Ogni cosa esistente, organica, è sempre cangiante ed è caratterizzata sempre dalla sua mutevolezza. Se ogni cosa fosse invece eterna, sarebbe stabile almeno nella sua essenza. Invece tutto è in cambiamento, tutto è trasformazione, anche l’essenza di una cosa. Se l’essenza di una cosa fosse stabile non avremmo il fluire della trasformazione, e proprio perchè nulla ha un’essenza stabile, credo che l’essenza di ogni cosa sia il vuoto, la Vacuità. Perciò a partire da questi elementi organici che contengono naturalmente questa mutevolezza, questa Vacuità, compongo la mia Pittura, bilanciandola appunto anche con una geometria per così dire umana. La mia Pittura non ha traduzione concettuale, neanche nel “titolo”: con i titoli appunto tendo ad evidenziare la spaccatura semantica che divide i campi del Visivo e del Letterario. Ed a proposito di ciò cito un estratto da una mia lezione:
“La comunicazione si differisce dall’espressione per il semplice fatto che la comunicazione necessita e funziona con la traduzione. La comunicazione è una traduzione stessa anche da parte del mittente. Arriva al destinatario ancora come traduzione che esso stesso poi traduce nuovamente. È un continuum cangiante di forma e contenuto. Non è in sé un dato di fatto. L’espressione invece non contempla e aborre la traduzione poiché l’espressione è in sé un dato di fatto. Ontologicamente esiste in sé e non si può tradurre. Se si provasse a tradurla si tradurrebbe un’altra cosa e non l’espressione.”
E a proposito di espressione. La mia pittura è espressione e mai conclusione. Il quadro non è mai una conclusione, ma è una parte di un’esperienza quadridimensionale molto più vasta. (come appunto mi ha insegnato l’Informale) link articolo sulla pittura informale.
Nei pochissimi minuti guizzanti del pittore che interviene repentino dinanzi al supporto, un quadro è un frammento di una linea di vita che non si può fermare.
Il linguaggio è una maniera di solidificare l’esperire della vita, esperire che non si può fermare.
Di fatto credo che il linguaggio racchiuda in sé una certa disposizione verso l’esistenza, é l’espressione congelata di un certo modo di sperimentare la vita. Esso é indicativo delle modalità del nostro esperire e stabilisce quali esperienze debbano accedere alla nostra consapevolezza, e in essa crescere, trascinandoci.
Pertanto un linguaggio visivo non può essere fermato in un Quadro fisso, anche se esiste solo nel momento e nello spazio dell’esecuzione di esso. Un Quadro è un frammento statico di un flusso dinamico da cui non è separabile. Illusione è vederli separati. Illusione è vedere un processo come due. Illusione è tentare di sviluppare due processi che sono in verità uno. Questo flusso, esperire di vita, o rituale che vogliate chiamarlo, è qualcosa che contiene il quadro e a cui il quadro fa parte (si riferisce) come frammento colto che io realizzo, “dipingo” o metto in scena – per meglio dire – vivendo i miei spazi nel mio tempo con le mie azioni.
Le riflessioni della psicologa Susanna Basile
Si può dare una definizione positiva del narcisismo? Questa è stata l’ardua interpretazione della “non pittura” di Valerio Valino. Esistono infatti un narcisismo “sano” ed uno “malato”.
Il primo non è altro che amor proprio, coscienza di sé, rispetto e cura per sé stessi. Secondo Freud è un equilibrato investimento libidico sull’io, necessario alla vita. Freud parlava di un “narcisismo primario” del “piccolo uomo”, chiuso nel suo alveo per sopravvivere e svilupparsi, avvolto in un bozzolo di bisogni e di indifferenza rispetto al mondo esterno. Tutto ciò in Valino diventa oggettivo e assoluto: il “piccolo uomo” si trasforma nell’uomo originario, prima della formazione di un carattere narcisistico, prima della sua forma fisica, secondo vibrazioni spirituali che fungono da pretesto e hanno preteso l’attuale nostra dimensione.
Per Valino l’uomo è divino.
L’Uomo è la sua energia sessuale, intesa come investimento libidico, il suo Es inteso come espressione del profondo Sé che lo ha generato: lui è l’Uomo Divino, come espressione dell’uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci.
Valino nella sua “Vacua Potenza Narcisistica” esprime la Hybris, l’empietà, la tracotanza, l’eccesso, la superbia, l’orgoglio, la prevaricazione dell’Uomo sulla Sua Divinità.
Quando Valino decide di decodificare “non codificando” la sua pittura, appunto definita pittura Informale, decide di darsi e di amarci esprimendo l’indefinibile e l’ineffabile sotto cangianti forme e colori. In quel momento della sua indefinita espressione pittorica decide di “amarci” di perdere una quota del suo investimento libidico, di svuotarsi, di concedersi. L’oggetto davvero prezioso diventa l’altro, mentre il soggetto amante è dimentico di sé stesso. Ma tale svuotamento è una parte di amor proprio residuale e residente negli antri oscuri e vacui del Sé universale, il suo amore, quello dell’assoluto potente vacuo narcisista necessita la corresponsione: è l’essere amati che si manifesta da parte dell’osservatore nei confronti della sua opera.

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