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L’esplosione del mito. Trump, Gaber e i “sans-culottes”

“La storia è lo shock fra la tradizione e l’organizzazione politica”, ha detto Walter Benjamin, uno dei più importanti filosofi europei del Novecento.

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Intuizioni come queste, contratte in poche parole, sono difficili da comprendere al di fuori dai contesti. Solo dentro il perimetro della coesistenza temporale tra fatti e osservatore, esse acquistano una pregnanza difficile da esprimere altrimenti.

La vera storia non è quella ordinaria o messa in ordine dai libri. I cambiamenti li si capisce convivendo e spartendo con gli eventi la rottura di consuetudini e meccanismi ai quali siamo troppo assuefatti, dandoli per scontati, e nei quali riponiamo tutta la saldezza delle nostre convinzioni e delle prassi culturali, in questo caso politiche e storiche.

Niente di meglio di una tradizione deflorata – alla quale si accompagna la delegittimazione di una organizzazione politica, quella esaminata da Alexis de Tocqueville in pieno Ottocento ne La democrazia in America – può servire da esempio per ricordare l’estrema delicatezza su cui si regge l’impianto politico che definiamo democrazia.

Il momento dell’attacco al Capitol di Washington di qualche giorno addietro è riassumibile nell’asciutta espressione di ‘sanculottismo trumpiano’. Questa volta non si è trattato di assaltare la Bastiglia. Con le opportune differenze, i contorni storici della metafora della liberazione di un simbolo (in questo caso il Parlamento) che si vuole divincolare dalle catene ci sono tutti.

I moti dei sanculotti di Trump fanno il paio con l’espressione più filologica di Benjamin ed entrambi ci rimandano dritti a riflettere sul fatto che il contenimento delle ideologie dovrebbe essere il pane quotidiano delle democrazie occidentali. Soprattutto perché le forme più eleganti, ma non meno sostanziali, dei vestiti retorici dentro ai quali tutte le ideologie si paludano sono alimentate in modo esponenziale dalla comunicazione, meglio se medializzata.

Nella democrazia americana, da anni sotto stress a causa di ferite non rimarginate tra classi, colori di pelle, diseguaglianze sociali, non equa distribuzione della ricchezza, disoccupazione, l’argine al contenimento della retorica ideologizzata semplicemente non ha più retto. Ha raggiunto livelli così critici da comportare l’esplosione storica di quel mito.

Di fronte allo specchio dello shock storico, si capisce bene che alla fine rimane sempre una parte di sconfitti, di delusi, di illusi. Pochissimi di quei patrioti ‘sans-culottes’ si accorgeranno di essere stati strumentalizzati. Pochi lo capiranno, e mai lo ammetteranno: nessuno dirà di essere stato vittima di un grande abbaglio e usato come testa d’ariete per tenere in vita gli interessi di una parte di società molto lontana da quel mondo al quale egli, da sanculotto, appartiene. Perché, al di là di qualsiasi fine considerazione filosofica, psicologica e sociologica, la contraddizione più grande che reca ogni ideologia è l’asimmetria: quell’abisso culturale che separa la massa dei manipolati dai manipolatori, le loro disparità economiche, le loro aspettative di vita e le loro fortune.

Per i primi non si sono mai date nella storia esiti ribaltatori delle loro condizioni, almeno nelle forme alle quali abbiamo assistito in questi giorni. I veri diritti, quelli duraturi, sono stati conquistati sempre attraverso lotte, anche dure, ma hanno avuto esito dentro processi democratici. Le speranze dei disperati, sempre pronte all’uso, sono le corde che meglio titillate invitano ad anteporre l’alea di patrioti alla propria famiglia, agli affetti, ai figli, alla stessa vita. Fosse soltanto per questa ragione, l’ideologo è sempre il traditore occulto della coscienza altrui e manifesto della propria. Perché sa di tradire.

Il ‘sanculotto trumpiano’ pensava invece di essere stato tradito da altri, fuorché dal vero traditore che gli si è parato davanti (e qui usciamo dalla storia dell’oggi) con l’aria del buon padre di famiglia e di difensore della patria. Per apparire tale, padre e difensore dei diritti di tutti, il manuale dell’ideologia consiglia sempre di promettere al soggetto da ideologizzare una grandezza alla quale poter accedere e partecipare in forma consorziata. Se non si è parte del processo e riconosciuti come combattenti o attivisti non si può partecipare delle glorie e delle prosperità future. Chi sa quale gloria o quale riconoscimento i patrioti pensavano sarebbe stato loro tributato in futuro dall’intera nazione, convinti di aver salvato l’esempio tipo della democrazia occidentale da un colossale (per loro) imbroglio elettorale! Rimandati a casa dopo essere serviti come prova generale, si saranno sentiti ancora più rabbiosi, perché non hanno fiutato l’inganno. Il filtro della loro ingenuità li convince di aver scritto una pagina gloriosa nella loro vita, magari da raccontare al vicino di casa, che condivide con loro un mezzo steccato e un residuo di roulotte color argento.

‘Il pifferaio di Hamelin’ credo sia una storiella tutta europea. Racconta di quel tizio che con il suo piffero magico avrebbe liberato la città invasa dai topi, a fronte di un certo compenso. Non accontentandosi di quanto pattuito, un giorno portò via con sé i topi, ma anche tutti i bambini di quella città. Non so se negli Stati Uniti ne esista una equivalente. A ogni modo essa è assai istruttiva, anche in forma di fiaba, e ci dice che sempre un pifferaio passa per le strade a predicare una qualche liberazione, salvo alzare costantemente il prezzo, fino a prendersi anche le vite.

Se penso in queste ore a uno come Giorgio Gaber, mi sento prendere da un sentimento di tenerezza. ‘L’ideologia – cantava laconicamente Gaber – malgrado tutto credo ancora che ci sia. È la passione, l’ossessione della tua diversità che al momento dove è andata non si sa’. Quando pronunciava queste parole si riferiva ad altra forma di ‘ideologia’, perché alta era la cultura che la pensava ed aveva le forme dei valori e degli ideali. Ma l’ossessione di sentirsi diversi e inferiori nella classe medio-bassa americana, povera di ideali ma farcita di ideologie, le più disparate, è cosa difficile da eradicare, perché mediamente di cultura, per non parlare di alfabetizzazione scientifica, se ne vede poca. Di solito, lì come nella restante parte del mondo occidentale, la platea dei manipolati potenziali, che ritiene la conoscenza critica e ben strutturata dei fatti un valore da poter spendere come vaccino contro l’ideologia è piccolissima. E per ciò pronta a cedere agli attacchi dei potenziali manipolatori. Sembra che tutte le cosiddette democrazie occidentali abbiano ancora un gran lavoro da fare.

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Salvo Vasta
Salvo Vasta
Salvo Vasta è professore di Storia della filosofia contemporanea nell’Università di Catania.
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