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Siccità al sud, bilancio di fine estate di Greenpeace e Cnr-Ibe: “la Sicilia a secco”

ROMA – Un comparto agricolo sempre più sofferente, invasi ai minimi storici e una fetta di popolazione sempre più ampia esposta alla siccità: sono gli effetti della scarsità di piogge nel breve e lungo periodo, combinati con quelli della crisi climatica, che emergono dal bilancio di fine estate tracciato da Greenpeace Italia in collaborazione con l’Osservatorio Siccità CNR-IBE, con un focus sulle regioni del Meridione più impattate dal fenomeno.

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Da giugno ad agosto, l’Italia ha registrato una temperatura media al suolo superiore di 2,1°C rispetto alla media estiva del periodo 1991-2020, con picchi di +4,1°C in Calabria e +3,8°C in Puglia. Nel frattempo, il Nord Italia è stato particolarmente colpito da una siccità severo-estrema di breve durata, con situazioni critiche in Trentino Alto-Adige e Friuli-Venezia Giulia. Le piogge di agosto non sono state sufficienti a mitigare l’emergenza al Sud, dove il 29% del territorio delle regioni più colpite (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) è afflitto da una siccità severo-estrema di lungo periodo. In Calabria e Sicilia, questa situazione interessa rispettivamente il 47% e il 69% del territorio.

Ed è proprio in Calabria e in Sicilia che le coltivazioni sono maggiormente a rischio a causa di questo fenomeno: in queste due regioni, la siccità severo-estrema di lungo periodo, riferita agli ultimi 12 mesi, ha interessato rispettivamente il 42% e il 66% delle colture non irrigue (cereali, leguminose e foraggere), il 53% e 73% dei prati-pascolo, il 63% e 73% dei terreni misti. In Sicilia, in particolare, la mancanza di piogge unita alle lunghe e ripetute ondate di calore ha creato condizioni di stress idrico per gli ulivi, tanto che la produzione di olio rischia di dimezzarsi rispetto allo scorso anno. Preoccupa anche la situazione in Puglia, dove si concentrano quasi un quarto delle produzioni legnose agrarie (con prevalenza di ulivi) e l’11% delle coltivazioni cerealicole italiane, un quinto delle quali in condizioni di siccità-severo estrema. A livello nazionale, il CREA prevede che nel 2024 la produzione di grano duro potrebbe registrare un calo medio dell’8% rispetto al 2023, con punte del 10-15% nella zona ionica e rese addirittura dimezzate in Sicilia.

«Per far fronte a un fenomeno che, ciclicamente e con frequenza sempre maggiore, mette a rischio la produzione agricola, bisogna agire su più fronti», dichiara Ramona Magno, dell’Osservatorio Siccità CNR-IBE. «Risparmio e Riutilizzo sono due parole chiave, ma anche la scelta di pratiche agricole che aumentino la capacità dei suoli di trattenere umidità e favoriscano la ricarica delle falde, come l’agro-forestazione o la turnazione delle colture. Bisogna inoltre orientare le produzioni verso varietà più resistenti alla siccità e ottimizzare i fabbisogni irrigui».

 

 

La crisi idrica che colpisce il Sud Italia è causata dalla scarsità di piogge e dall’aumento dei prelievi idrici aggravati da temperature superiori alla media. Questa situazione mette ulteriormente sotto stress le riserve idriche, con gli invasi del Sud che a fine estate 2024 si trovano in condizioni molto più critiche rispetto al 2023. In Basilicata e Sicilia, i livelli medi di riempimento a fine agosto si attestano intorno a un quinto della capacità massima, con alcuni invasi destinati all’uso potabile ormai a secco in Sicilia e il divieto di prelievi agricoli dal più grande bacino del nord della Puglia.

I dati sulla popolazione esposta alla siccità sono allarmanti: a livello nazionale, il deficit di piogge accumulato tra settembre 2023 e agosto 2024 interessa il 29% della popolazione, ma oltre il 90% degli abitanti di Puglia, Calabria e Sicilia è colpito da siccità. In Sicilia, la situazione riguarda il 100% della popolazione, con il 65% afflitto da condizioni di siccità severo-estrema.

 

 

 

«Prima dell’inizio dell’estate, il ministro delle Politiche Agricole Lollobrigida si compiaceva del fatto che la siccità stesse colpendo principalmente il Sud Italia, “risparmiando” il Nord. Oggi è invece evidente come un Meridione messo in ginocchio dalla siccità sia un problema per tutto il Paese, soprattutto per le produzioni agricole che storicamente si concentrano in queste zone», commenta Simona Savini, campagna Agricoltura Greenpeace Italia. «È una situazione che nasce da tendenze meteo-climatiche di lungo e lunghissimo periodo e che richiede soluzioni strutturali. Per questo, tra le nostre proposte al governo, ci sono il progressivo abbandono dei combustibili fossili, principale causa dei cambiamenti climatici all’origine della siccità ma anche delle alluvioni che stanno flagellando alcune regioni del Nord, un piano di ristrutturazione della rete idrica e una transizione in chiave agro-ecologica del comparto agricolo, cui è destinata più della metà dell’acqua utilizzata nel nostro Paese».

Interventi strutturali che ottimizzino gli usi idrici sono opportuni anche secondo l’Osservatorio Siccità CNR-IBE, in particolare per ripristinare il volume di invaso dei bacini già esistenti, ridurre le perdite idriche lungo le reti di distribuzione e aumentare le capacità di recupero delle acque chiare nei contesti urbani, da destinare a tutti gli usi che non siano di tipo potabile o igienico-sanitari.

 

Per sensibilizzare cittadini, istituzioni e soggetti pubblici e privati all’importanza della tutela di una risorsa idrica sempre più a rischio, Greenpeace Italia è inoltre impegnata nel progetto “Fino all’ultima goccia” che nelle prossime settimane prevederà una serie di attività, monitoraggi e collaborazioni con la comunità scientifica per preservare la nostra acqua su un pianeta sempre più caldo.

 

Leggi QUI il bilancio completo

 

 

 

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